venerdì 2 febbraio 2024

Congo Brazzaville

CONGO BRAZAVILLE

Il giro di basso di Time degli Anthrax si scatena nelle mie orecchie e da inizio a questo tour improvvisato di Brazaville che segue la lunga, lunghissima giornata di oggi e la tre giorni di corso. Improvvisato, ma assolutamente emozionante. Son rimasto solo, il mio compagno di avventure è rimasto in camera per prepararsi, avendo l’aereo già questa sera ( e da un lato lo invidio un sacco. Ho una voglia matta di tornare dalle bimbe, visto che son rientrato da Juba domenica mattina alle 7 dopo una settimana e la sera dello stesso giorno sono ripartito!), ma essendo solo le 3 e avendo tutto il pomeriggio davanti, e soprattutto non dovendo studiare visto che sono stato inesorabilmente bocciato ieri all’esame di anatomia (sostenuto in pausa pranza, nell’ufficio del direttore tecnico della nazionale, con un modem tutto per me acceso al mio fianco), decido di non imbruttirmi in palestra o in piscina, ma di uscire, allo scoperta di questa città. Tutti mi han detto che è sicura, che non ci son pericoli, le sere precedenti sono uscito a correre sulla corniche e mi son sentito sicuro, lontano da ogni pericolo, per cui musica nelle orecchie e via. Lascio il lungo fiume dopo aver attraversato il ponte e inizio ad esplorare l’interno, le strade non asfaltate, con  baracchini che cuociono polli e pesci indecifrabili; mi fermo a parlare con una signorona seduta dietro un banchetto per chiederle che razza di pesce sia quello che sta cucinando, ma purtroppo parla quasi esclusivamente lingala e non riesco a capire che bestia sia. Poco più avanti un ragazzino con la maglia dell’inter mi chiede di fermarmi al suo “negozio” (un bidone ribaltato, sopra il quale è esposta la sua mercanzia: arachidi grigliate) e vista la maglia che indossa, non posso che accontentarlo. Nel frattempo, ho spento la musica, ho deciso di lasciarmi avvolgere completamente, tutti i sensi devono aiutarmi a scoprire questo posto. Il ragazzino avrà più o meno 12 anni, lavora li quando non va a scuola e mi domando quanto mai potrà guadagnare al giorno. Chiedo un sacchettino di arachidi, pur essendo quello con lo zucchero che proprio non gradisco, ma ho in tasca solo un “grande biglietto” come dice lui (1000fca, ossia circa 1,5 eurini) e non ha il resto. Niente, non posso acquistare e non voglio lasciarli i soldi come se facessi la carità. Mi sembra di mancargli completamente di rispetto, di offenderlo. Lo saluto “forza inter”, gli dico. Sorride, ma non credo sappia cosa abbia detto. Penso che indossi quella maglia non per scelta, ma perché quella è arrivata. Chissà come, chissà perché, ma quella ha in casa e quella mette. Così come le altre maglie di club italiani che vedo indossate da chiunque qui intorno: non penso siano indossate per scelta, perché tifosi, ma solo perché quello è arrivato, quello hanno trovato. Magari dico una cazzata. Proseguo il mio tour e un po’ di fame mi assale: in fin dei conti ho fatto colazione questa mattina alle 7:30 e ora son le 16 e ho passato circa tre ore a muovermi su e giù per lo stadio nazionale a dar consigli agli allenatori per migliorare la gestione della seduta, a correggere i bambini e le bambine nell’esecuzione dei vari gesti tecnici trattati nelle diverse sessioni d’allenamento,  a incoraggiare e “gasare” i vari bimbi coinvolti nel progetto. Insomma, la fame è giustificata, per cui, seguendo l’odore di griglia che riempie le mie narici, entro in un cancello…pardon, in un ristorante. Posso dire un ristorante autentico, originale: una mega griglia con dei polli a cuocere, dei mega pentoloni con manioca, saka saka e ndole e una decina di persone seduta su seggiole di plastica che mangia qualcosa, ma soprattutto beve, e parla, ride e commenta la partita che viene trasmessa in tv (Sud africa marocco, che ho visto ieri live). Non sono una persona socievole, per nulla, non sono solito approcciarmi ad altri esseri umani e parlare, chiedere, cercare un contatto, ma qui, non so dire perché, mi viene naturale, per cui chiedo due brochette di poulet con del riso e mi siedo a un tavolo. Gli occhi di molti sono su di me: che cazzo ci fa un bianco qui? Dicono i loro occhi. Sorrido, non mi sento a disagio. Ancora una volta non so perché, ma son tranquillo. A monza, da solo, in un bar, pub o ristorante con intorno gruppi di persone che tra loro si conoscono e di cui io non conosco nemmeno il nome, sarei in estrema difficoltà. Perché qui no? Anzi, attacco anche bottone con un vicino, che mi chiede come mai sia in congo e se mi piace il suo paese. Mah…Riparto. Pago i circa 6 euro per il mio pasto e per la mia acqua, e son di nuovo per strada. Seguo una via asfaltata per un po’, passo vicino a una chiesa dove diversi gruppi di bambini stanno giocando a calcio in quello che potrebbe essere l’oratorio; quindi, mi ritrovo in un mega mercato. Poto-poto, il nome. Cammino tra merci di ogni genere (scarpe adidas con quattro strisce, maglie guci, con una c, orologi “d’oro” e mille altre repliche di quel mondo occidentale che sembra stiano inseguendo, non so poi perché), ma anche qui non avverto pericolo, non mi sento a disagio. La gente intorno mi invita nel suo “negozio”, ma al mio declino non insiste, sorride, mi segue, ma tutto in estrema semplicità. Esco dal mercato che siamo ormai vicini al calar del sole: fin qui tutto bene, ma con le tenebre, meglio non correr rischi. Mi avvicino a un poliziotti, gli chiedo come arrivare alla corniche et…voilat. In meno di un’ora sono in hotel. Direi che ho anche il tempo per andare ad allenarmi.

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