The mountain kingdome
NON DI SOLO CALCIO VIVE L’UOMO
Per la prima volta nella mia storia in fifa, oggi abbiamo
avuto un intero giorno libero, un’intera giornata da dedicare alla scoperta di
questo paese. Ed è stato fighissimo. Un po’ perché in questo posto
difficilmente tornerò, se non per conto della fifa, quindi questa è stata
l’unica occasione per me di vivere l’esperienza da turista in Lesotho, e un po’
perché ciò che mi piace un sacco fare quando sono in giro è cercare di capire
(difficile in pochi giorni), conoscere, esplorare il paese che mi ospita, per
provare a crearmi un’idea, un’immagine che vada oltre quella che normalmente
riesco a strutturare nella mia testa, costruita solo attraverso l’esperienza in
campo, in hotel e in qualche ristorante. A volte sfrutto i miei allenamenti, le
mie corse, per questo scopo, ma Maseru è una città sita a 1600mt di altezza,
tutta fatta di sali-scendi ripidissimi e in più le mie giornate finivano sempre
col buio; quindi, mi è stato difficile uscire dalla palestra per i miei
allenamenti (ieri 21km sul tappeto…un incubo).
Colgo quindi, cogliamo io e anto, con grande entusiasmo la
proposta del presidente di metterci a disposizione un auto e un autista per
esplorare il paese. Decidiamo di puntare verso le cascate Maletsunyane,
nell’interno, in quelle che qui chiamano le highlands. E puntiamo bene. Non
solo per le cascate in sé, che a dirla tutta in questo periodo dell’anno sono
certamente meno affascinanti di quanto non si veda nelle foto on line (siamo in
inverno, tutto e secco e arido, c’è ancora della neve qua e la, o dei cumuli di
ghiaccio, quindi anche la cascata ha poca acqua. Per quanto comunque
affascinante, manca qualcosa), ma anche per il lungo viaggio (quasi 180
minuti!) che ci conduce attraverso le montagne al nostro obiettivo. Lungo
questa strada il paesaggio è affascinante: alte montagne “violente”, aspre,
secche e valli, canyon rocciosi con sparse, qua e la, sui pendii, piccole
capanne di fango e paglia, di forma circolare, in numero ridotto (villaggi di
10, 15 capanne, ogni volta)…in the middle of nowhere!
Difficile pensare, immaginare, la vita di queste persone in
questa realtà, in queste condizioni. Pastori, agricoltori, si muovono a piedi o
a bordo di asini e conducono il loro bestiame al pascolo con il loro tipico
cappottone (una specie di tappetone, pesante e colorato, che indossano sempre,
estate e inverno. Nel primo caso senza nulla sotto, nel secondo con calze
coloratissime e ogni possibile indumento posseduto), il cappello tradizionale
(una mini piramide di paglia intrecciata finemente, che non fa passare il
vento, gelido e pungente in questo periodo…le mie labbra ne sanno qualcosa) e
l’immancabile bastone, simbolo della loro mascolinità (le donne non possono
usarlo). That’s it. Le loro giornate trascorrono così. Lente, quasi ferme,
governate dal sorgere e calare del sole, scandite dal lento movimento dei loro
animali sulle colline, sulle montagne…in un momento come questo in cui penso
sempre più spesso a come il tempo ci sia sottratto ogni giorno da quel lager
chiamato lavoro cui siamo tutti costretti, vedere questo “vivere completamente
il tempo” (seppur in un modo magari un po’ noioso) ha scatenato in me mille
riflessioni. Ma questa è un’altra storia.
E i bambini? Quando ci fermiamo saltano fuori dalle capanne,
ci osservano di nascosto, i più coraggiosi si avvicinano, ma parlano solo
sosetho, quindi non riusciamo a capirci. E i bambini, dicevamo. Loro come
vivono questa realtà? Abbiamo incontrato delle scuole lungo la via
(scuole…capannone rettangolari, non tonde, col tetto in lamiera, mono o al
massimo con due stanze, due “classi”. Non riesco a immaginarmi le lezioni) e ne
abbiamo visto qualcuno in divisa (pur essendo sabato, vestono la divisa, ci spiega
l’autista, perché devono andare a qualche funzione, quindi devono indossare il
loro abito migliore), quindi sicuramente le mattine le vivono a scuola e ne
abbiamo visti altri giocare a calcio con palle fatte di paglia arrotolata,
oppure al seguito dei fratelli più grandi col bestiame, quindi…anche per loro
il mondo è questo. Con l’alternativa della scuola. Difficile da immaginare, se
penso alla realtà in cui sono immerse Anna e Maggie. Ma il mondo, come mi piace
dire, è più grande della mia piccola realtà e anche oggi ne ho avuto una
dimostrazione.
Montagne, villaggi, bambini, scorrono fuori dal finestrino o
sotto i nostri occhi grazie alle pause, fino all’arrivo alle cascate. Qui un
piccolo trekking ci porta dalla parte opposta del canyon dove l’acqua del fiume
“casca”. 200 metri di caduta in mezzo a questo canyon selvaggio, aspro,
rocciosissimo. Che bellezza. Che esseri piccoli che siamo di fronte a tutto
questo…così piccoli, eppure così arroganti da pensare di essere noi il
risultato finale del percorso di evoluzione delle ultime migliaia, degli ultimi
milioni di anni. Noi, i sapiens, sapiens, siamo al di sopra di tutto questo,
dominiamo e governiamo tutto questo. E lo distruggiamo…
Nel viaggio di ritorno una piccola lezione di storia ci
accompagna, grazie al nostro autista, che ci racconta la storia del paese da
quando il primo re, sorothoshese the first ha unificato le 16 tribù in un unico
popolo, i basotho, prima di fermarci a
Roma (un villaggio fondato dai missionari evangelizzatori italiani e oggi
città, sede dell’unica università del paese) per mangiare in uno di quei posti
ove cerco, cerchiamo, sempre di fermarci quando siamo nel continente nero. Una
baracca a bordo strada che cucina sotto i tuoi occhi (a volte sarebbe meglio
chiuderli gli occhi…) e che per portarti da bere va ad acquistare l’acqua alla
baracca vicina. Non possiamo esimerci dal mangiare la “paya”, il piatto tipico
(ciò che in angola è chiamato fu-fu, in uganda matoke…sempre la stessa cosa, ma
con nome diverso) con del pollo sicuramente ruspante e aggiungere anche questa
esperienza super positiva al nostro bagaglio.
Wow. Quante cose ho messo in valigia, oggi. Bellissimo
assaggio del paese. Difficile tornare da queste parti, ma se dovesse accadere
saprò già qualcosa in più
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