Giornata infinita
Alle 14 siamo in
aula, pronti per l’apertura ufficiale, accompagnati dal nostro direttore e dai
vari presidenti e ministri, come al solito. E la percezione avuta durante la
corsa se non accentuata e per lo meno confermata: anche questo posto, la sede
della federazione, appare decadente, di un’altra epoca, forzatamente portato ai
giorni nostri attraverso l’aggiunta di prese, deflettori per l’aria condizionata
(che non funziona mai) e altre diavolerie moderne, ma poco…performante. Televisioni
e giornalisti vari allungano un po’ le cose, ma fortunatamente circa un’ora dopo,
siamo pronti a iniziare: i prof sono coinvolti, partecipano, condividono con
noi il loro interesse, anche se qualcuno sembra un po’ tagliato fuori, lo vedo
un po’ assente. Provo ad indagare e ciò che pensavo risulta essere vero: l’inglese
qui è studiato da una piccola parte, per lo più dai giovani. Quelli della mia
generazione fanno fatica a capirlo e a parlarlo, ma sti pirla non ci hanno
detto nulla e quindi non ci siamo attrezzati con l’eventuale traduttore. Amen,
proveremo a gesti e con qualche parola di italiano.
Il tempo passa
velocemente, la parte teorica prevista per oggi mi sembra sia “arrivata” ai
nostri amici eritrei, quindi ora possiamo passare a ciò che veramente conta: il
campo. E li si che mi diverto. La passione, l’entusiasmo, ma anche l’attenzione
a cogliere ogni particolare della mia spiegazione, delle mie correzioni è se
non unica, per lo meno molto rara (almeno per la mia esperienza); in più di
base tutti i bambini possiedono un buon bagaglio motorio, per cui risulta
relativamente semplice per loro apprendere, conoscere, migliorare la gestualità
tecnica nel corso delle 3 sedute che propongo. E quando trovi del “materiale umano”
così, non puoi che divertirti, provando anche a spingere un po’ sull’acceleratore
per lasciare qualcosa in più ai tuoi alunni, ai professori. Insomma, saranno loro
a portare avanti il progetto e voglio che anche loro facciano proprie le cose
in cui credo, le cose che da vent’anni (ellamadonna, vent’anni) porto in giro
per il mondo. Si, perché una cosa di cui sono sicuro è che un progetto come
questo, denominato “sociale” non può, non deve prescindere dall’insegnamento
calcistico. I bambini e le bambine vogliono imparare a giocare a calcio,
vogliono migliorarsi e crescere con quella palla tra i piedi, per cui se si
vogliono passare messaggi “extra calcistici”, chiamiamoli educativi, la tua
proposta calcistica deve essere di eccellenza. Non puoi pensare che con dei
giochini da oratorio tu possa raggiungere lo stesso, altissimo obiettivo. Non
escludo che giocando a palla battaglia, a sparviero o chissà a cos’altro
possano divertirsi e anche interiorizzare, fare propri messaggi educativi, ma
se rappresenti il calcio, cazzo, sei la fifa, o una qualunque altra realtà calcistica,
non puoi ridurti a fare giochini del cacchio con le facce del mister per
rappresentare le emozioni. I bambini vengono da te per fare calcio, per
conoscere il calcio quello vero, quello che gli aiuta a conoscere meglio se
stessi, le proprie emozioni, i propri stati d’animo; quello che gli aiuta a
stringere amicizie solide che durano tutta la vita, che gli aiuta a conoscere e
interiorizzare regole che condizioneranno, se non determineranno, il loro modo
di essere adulti; quello che gli permetterà di conoscere momenti difficili,
bui, in cui tutto sembra girare nel verso sbagliato, ma che grazie a quel
fuoco, quella passione infinita per quella magica sfera di cuoio, passano,
diventano insegnamenti, aiutano a sviluppare quella cosa che ormai non può più
prescindere da un qualsiasi progetto educativo: la resilienza.
Insomma, è solo
facendo calcio che si può educare, crescere, portare a “fioritura” un bimbo o
una bimba. Solo che bisogna insegnarlo nel modo corretto, sfruttando tutto il
suo potenziale educativo. Altrimenti si ottiene l’effetto opposto, ossia
esattamente quello che la gran parte degli allenatori mondiali sta ottenendo.
Bada bene: non
sto dicendo che io detengo la verità e sia l’unico a far le cose come dovrebbero
essere fatte. No, no. Sto dicendo che ogni viaggio che faccio mi convinco
sempre più che il calcio, ma lo sport in generale, debba essere insegnato a tutti,
proposto a tutti, con gli scopi di cui sopra, e che io, nel mio piccolo, nel
corso della mia carriera sto cercando con tutto me stesso di seguire questa
idea e diffonderla il più possibile. Le mie esercitazioni, le mie sedute,
possono sicuramente essere migliorate per raggiungere ancor meglio lo scopo, ma
tutto è mosso da quell’obiettivo e oggi in campo, ancora una volta, voglio
condividere quell’obiettivo con tutti e 55 gli allenatori che mi stanno
ascoltando. O per lo meno fino a quando reggono perché, quando alle 19 circa il
TD mi dice che è ora di chiudere e saluto i presenti, non so bene se l’applauso
che nasce spontaneo sia per il lavoro svolto o per il semplice fatto che finalmente
ho finito!
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