Al momento dell’atterraggio,
scrutando fuori dal finestrino, il paesaggio mi fa subito pensare, forse
capire, che questo posto debba essere speciale, quasi unico. I miei occhi,
infatti, cadono su una immensa distesa arida, secca, con case basse, antiche, per
non dire vecchie, sparse qua e la e…un relitto di aereo abbandonato, proprio
li, a bordo pista, dove stiamo atterrando. Uno strano benvenuto, insomma, in un
paese che, diversamente da altri del continente nero dove sono atterrato, non
mi mostra subito baracche, capanne, oppure mega edifici che scimmiottano quelli
delle nostre città. No, qui l’idea che sale subito alla mente è quella di una
realtà ferma a qualche decennio fa, non decadente, fatiscente, semplicemente…vecchio.
E questa idea è confermata poco dopo, quando entrando in aeroporto, tutto appare
più calmo, meno frenetico, isterico, rispetto al “nostro” mondo moderno. Oserei
anche dire troppo calmo per i miei gusti: per quanto non sia un isterico,
sempre di corsa, sempre sotto pressione, l’attesa al controllo passaporti (per
fortuna la federazione è venuta in pompa magna ad accoglierci, semplificandoci
nettamente le cose, prendendo i nostri passaporti in mano e gestendo tutte le
pratiche) e quindi quella alla consegna bagagli è infinita. Ma nessuno si
agita, nessuno si lamenta: aspettano. E allora aspettiamo anche noi quasi un’ora,
quando poi, lentamente ovviamente, i nostri bagagli appaiono sul nastro
trasportatore. Via allora, verso l’hotel. Tre minuti cronometrati ed eccoci al “lussuoso”,
almeno cinquant’anni fa, asmara hotel palace dove resto giusto il tempo per
cambiarmi di abito e uscire a correre: il presidente, infatti, ci verrà a
prendere tra due ore e siccome a me di mangiare interessa proprio poco, ne
approfitto per una bella corsa rigenerante di 45 minuti, per iniziare la mia
scoperta della capitale. E rimango stupito: pur nella mia ignoranza, conoscevo
per lo meno a grandi linee anche prima di atterrare in Eritrea la storia della
colonizzazione italiana nel paese, ma imbattermi ad ogni angolo in bar dal nome
italiano (bar vittoria, bar aosta, bar della posta…), in hotel anch’essi con
nomi famigliari (alla scala, bologna…) e soprattutto in edifici chiaramente,
evidentemente, frutto del periodo fascista, mi colpisce positivamente. Anche se
in me persiste un po’ di timore circa i sentimenti che possono accompagnare gli
eritrei rispetto a noi italiani, considerando i sessant’anni in cui abbiamo
occupato il loro paese. Ma giorno dopo giorno scopro che il ricordo è positivo,
tutti gli anziani con cui ho parlato e che parlano italiano (chi ha studiato al
collegio italiano, chi lavorava con italiani, chi semplicemente lo ha appreso
in strada) hanno condiviso con me loro ricordi piacevoli di quei tempi,
esperienze positive avute con gli italiani che hanno occupato queste terre. E
che hanno costruito la capitale, si può dire: perché Asmara, la piccola Roma
(ma molto piccola) è stata costruita quasi totalmente dagli italiani, che gli
hanno dato la configurazione attuale. E correndo oggi per il viale principali
la sensazione è proprio quella di essere a casa, ma…almeno cinquanta, sessanta
anni fa! Tutto è piuttosto decadente, avrebbe bisogno di una sistemata, di una
rinfrescata, in alcuni casi cade a pezzi. Insomma, si percepisce, si coglie la
bellezza di un tempo, ma quella bellezza, ahimè, è ormai decaduta e per quanto
rimanga affascinante, ti fa capire un po’ lo stato attuale delle cose.
Ma non ho più tempo: la corsa si conclude come previsto dopo 45’, ora ho giusto il tempo di una doccia e poi alle 14 si inizia il corso: 39 insegnanti di educazione fisica provenienti dalle 6 province del paese, più 16 allenatori della federazione (responsabili regionali per la federazione, o allenatori grassroots) ci stanno aspettando. E allora, via, che si cominci.
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