domenica 7 febbraio 2016

Ancore Camerun

Camerun 2016
Quando l’aereo tocca non senza violenza terra, dopo le 9, canoniche, ore di viaggio, la sensazione che provo è identica a quella che vivo ogni volta che rientro da una missione: un misto di eccitazione e gioia per essere tornato, una tranquillità, sorta di pace, che riemerge in tutti noi quando ci sentiamo a casa, al sicuro, sul nostro terreno di gioco. Eccomi qui, Yaoundé! Fuori dall’aereo nulla è cambiato, nulla cambia mai: le solite scale che scendono, la solita disordinata fila per farsi prendere la temperatura corporea con un non ben identificato termometro a distanza, che sembra più che altro una macchina fotografica, il solito finto controllo del libretto delle vaccinazioni e il solito, eterno, controllo passaporti, prima della vera bolgia infernale, il ritiro bagagli. Qui qualcosa è cambiato, anche se in peggio: la confusione è aumentata, la calca di gente attorno al nastro sembra quella assiepata fuori i cancelli di san siro prima del derby (maledetto, maledettissimo derby…), con lo stesso vigore nello spingere e nel cercare di farsi largo, sperando così di arrivare fino alla lingua nera trasportatrice e magari riuscire a toccare con la mano una qualsiasi borsa, sperando cosi di riuscire a riconoscere la propria e strapparla al disordine per poter finalmente uscire. Questa volta però l’impresa appare più ardua, perché l’aereo ha sputato fuori tantissima gente e i loro bagagli si accalcano l’uno sull’altro al punto da bloccare il nastro trasportatore, costringendo più volte gente dell’aeroporto, forse dell'aeroporto, ad arrampicarsi su di esso per liberarlo e far riprendere il tour delle valige. Ci dividiamo i compiti: Max di guardia ai bagagli a mano e io e Andre a caccia del resto, tra braccia nerissime e afrore opprimente che invade tutta la sala; la battaglia, fortunatamente, si risolve in poco più di un’ora e ci permette così di uscire da quel girone dantesco per…entrare in quello seguente: il parcheggio. “monsieur, monsieur…” da tutte le parti, “taxi…change…pour la citè…” e altre offerte di ogni tipo. “No, merci. On attende un ami” continuo a ripetere come un disco rotto, senza però scoraggiarli. Ci seguono, come fanno sempre, come fanno da sempre, sperando di ottenere cosi qualcosa, fino a quando…ecco Francis! In uno splendido bubu bianco, ecco venirci incontro il mitico Francis ed ecco allontanarsi i vari procacciatori di affari.Col suo luminoso sorriso ci accoglie come tutte le volte, accompagnandoci a casa sua dove, come tradizione vuole, ceniamo tutti insieme a suon di poullet dg e ananas e con le mitiche cacaouttee, vera droga personale!Eccoci a casa, seppur a migliaia di km di distanza. Via, si dia inizio ad un’altra missione in Camerun!

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