mercoledì 10 febbraio 2016

In campo...in carcere!

PRISON DE BAFOUSAM, GIORNO 1

La sveglia suona insistentemente, ma impiego un bel po’ di tempo prima di rendermi conto che questo fastidioso suono non è la colonna sonora del mio sogno (in cui vi erano protagonisti Ludovico, mio giocatore del 2000, Lore e Gabri, ma non chiedetemi perché e in che modo, perché non lo ricordo), bensì il segnale che da’ inizio a un nuovo, impegnativo ed entusiasmante giorno. E allora via, giù dal letto, elastico in mano e diamo inizio al risveglio muscolare con il solito circuito per petto, bicipiti, tricipiti, dorso e spalle, più lo specifico per gli addominali: giuro, non conosco modo migliore per iniziare la giornata, se non una corsa, ma quella viene, come ieri, a fine giornata (ieri 6 km liberi, in ripresa, dopo il doppio viaggio, nel saliscendi estremamente polveroso di Baffousam…sto ancora sputando sabbia, cazzo!!!).Posato l’elastico, giusto il tempo di far colazione e in breve eccoci in macchina, direzione prigione; non nascondo che sono un po’ emozionato, se non quasi spaventato: entrare in carcere e avere come allievi prima e come giocatori poi persone, uomini e donne, ragazzi, che in un modo o nell’altro hanno commesso qualche reato, di qualsiasi genere sia, un po’ attiva la parte bacchettona, moralista, del mio cervello. In più l’ambiente “estremo” entro il quale dar forma al nostro intervento…be’, non so voi, ma io qualche pensiero me lo sono fatto! Pensiero che però, una volta superati i “controlli” (ieri in due ci hanno scortato, uno davanti e uno dietro, attraverso le varie sezioni del carcere, oggi invece ci hanno abbandonato a noi stessi, hanno aperto i vari cancelli e…via, dentro, carne da macello, nella gabbia delle tigri. Non oso immaginare domani!!!) ed entrati nello spazio adibito ad aula, svaniscono, per lasciar spazio a cose molto più utili e necessarie per oggi, ossia i temi da affrontare, la concentrazione sull'argomento e la volontà di fare il massimo per riuscire a trasmettere qualcosa ai “miei” alunni. La particolarità di questa formazione, oltre all’ambiente e ai fruitori, è sicuramente l’obiettivo finale: se normalmente formiamo allenatori con lo scopo di migliorare il loro approccio al bambino e alla sua educazione attraverso l’allenamento, questa volta abbiamo a che fare con gente che ha essa stessa bisogno di aiuto, di qualcosa di nuovo in cui credere, di qualcosa che gli aiuti a trovare una nuova via per riabilitarsi e reinserirsi in società, chissà, magari proprio re-inventandosi educatori sportivi. Chissà…E non è propriamente un semplice obiettivo. Ma si può fare.Rompo subito il ghiaccio, inizio a muovermi tra loro facendo domande, coinvolgendoli nella lezione, evitando di pormi come il “professore” sofista, che versa il sapere nelle loro menti vuote e questo nuovo, rivoluzionario per loro (abituati, in tutti i campi, a relazioni padrone-inferiore, il superiore che comanda e l’altro che esegue, senza fiatare e rispettando, ossequiando il capo, professore, allenatore di turno) modo coglie nel segno, dando a tutti modo di aprirsi, parlare, chiedere, partecipare. Le tre ore, così facendo, volano e arriviamo velocemente alla parte pratica, l’allenamento. E qui viene il bello: in undici anni di Inter Campus, in undici anni di campi impensabili, materiale scadente, numeri di giocatori impressionanti, mai avevo vissuto una situazione paragonabile a quella di oggi! 30 ragazzi, dai 12 ai 17 anni, in carcere perché “ragazzi di strada”, quindi ladruncoli, piccoli truffatori, giovani poco, se non per nulla, istruiti, con un esagerata energia da sfogare e uno spazio in cemento di circa otto metri per venti a disposizione! Un buco, un’arena!. Un buco tra l’altro pericolosissimo, perché circondato dalle mura degli edifici delle varie sezioni e con un canale di scolo su un lato lungo e come se non bastasse, ulteriormente ristretto dalla presenza di un numero imprecisato di incuriositi inquilini della prigione, oggi distratti dalla presenza di questi bianchi e dei loro palloni. Insomma, un gran casino, non c’è altro modo per descrivere la situazione pomeridiana, dalla quale ne usciamo però piuttosto bene: introduzione ludico-motoria, sfruttando tutto lo spazio a disposizione, inserimento dell’attrezzo mantenendo la stessa struttura di esercitazione e progredendo con le varianti e torneo finale, dividendo il gruppo in mini squadre da tre, quattro giocatori, per mini partite di cinque minuti. Il risultato pare positivo: i ragazzi ridono, corrono, sudano, si spingono, calciano, si divertono, esultano e si stringono tra loro per esultare. Insomma, giocano, fanno sport, sono entrati nel mondo Inter Campus! Ma che fatica. E quando poi, uscendo, Francis ci racconta che tra gli incuriositi spettatori vi era anche un uomo condannato per quindici omicidi e per il conseguente traffico di organi messo in atto, mi rendo conto una volta di più che ciò che stiamo realizzando sfiora la follia. Solo l’Inter poteva fare una cosa del genere. Amala!

Nessun commento:

Posta un commento