domenica 28 febbraio 2016

Viaggio per Dondo

DONDO
Quando la sveglia inizia a suonare, io rimango calmo e tranquillo tra le braccia di Morfeo, senza cenni di risveglio. La melodia di bonghi della mia suoneria deve ripetersi e alzarsi di intensità per raggiungere il suo obiettivo e mi accorgo quando apro gli occhi che sono già trascorsi due minuti dal loro primo rintocco: sono infatti le 4:12 e avevo programmato il risveglio per le 4:10. Balzo in piedi, uscendo faticosamente dalla zanzariera, non senza difficoltà, ma dopo un primo momento di spaesamento, mi rendo conto di non essere particolarmente rintronato a causa delle poche ore di sonno; niente che una buona moka non possa guarire (ovunque sia passato o sia ancora presente un italiano, troverai la tua caffettiera Bialetti preferita: Uganda, Congo, Angola, foresta Brasiliana, Se uno di noi è passato da quelle parti, l’ha fatto con del caffè al seguito. Garantisco). Via allora e mentre mi incammino, al buio, sento rumori strani provenire dalla cucina: il topastro! Non lo vedo, è buissimo e quando accendo la luce nulla mi appare, se non alcune bucce di banana per terra, stranamente a terra. Ratatouille era in vena di ricette. Amen. Tanto il caffè non lo interessa, quindi via, acqua, certo non quella corrente, e dose massiccia di caffè per noi tre, ripetuta, prima di salire in macchina con Padre William, Favio, l’argentino, e Gouveia. Si parte. La città è irriconoscibile: accarezzata da una fresca brezza, silenziosa e senza traffico. I cumuli di pattumiera a bordo strada non sono ancora sede di ricerche di vario tipo da parte della gente delle favelas e i vari buchi che ci accompagnano lungo la rotta in direzione est per uscire dalla città, seppur mascherati dal buio, si riescono a vedere ed evitare, non essendo celati al nostro sguardo dalle macchine che ci precedono e che si muovono in ogni dove, pur di trovare uno spiraglio attraverso cui avanzare. Man mano che ci allontaniamo dalla capitale aumenta la luce, ma soprattutto…si entra in Africa! Luanda infatti è un groviglio puzzolente e inquinato di “case”, costruzioni basse, macchine, strade, senza un solo spicchio di verde e sembra di essere ovunque, fuorché nel continente nero, ma appena fuori la natura torna ad essere regina incontrastata: immense distese di verde, enormi baobab (è il posto dove ne vedo di più, mi aspetto sempre un piccolo principe pronto a dar loro da bere) e terra rossa, rossissima che si alterna alla foresta e agli spazi enormi. Poco prima di Dondo, poi, ossia circa due ore e trenta dopo la nostra partenza (non circa, precisamente: il prof cronometra qualunque cosa, quindi sappiamo con esattezza di aver impiegato due ore e ventisette minuti per il viaggio) attraversiamo l’immenso fiume Kwanza ( dove la prima volta che sono stato in Angola ho fatto il bagno dopo una mega partita con gli educatori di allora, in gita a Massangano), con il suo immenso letto, le sue acque apparentemente calde e, dicono, ricche di coccodrilli. Nella piccola e calma cittadina ci fermiamo poco tempo, giusto il tempo di rivedere padre Gino, maledetto juventino, e dar vita a un bell’allenamento con i bambini (cento sono parte della cellula, ma 26, anzi no, 32, anzi no, 36, sono quelli che giocano con noi, aumentando di numero, mano a mano che l’allenamento avanza) e quindi a un piccolo incontro con gli allenatori, per dar loro due indicazioni su come proseguire il loro lavoro in campo. Campo…uno spazio piccolissimo, sarà un 40x20, in cemento, con i muri della casa salesiana a chiuderlo e un continuo via vai di persone dirette o in uscita dalla casa stessa. Insomma, un casino. Quando poi eravamo noi in campo, la folla di gente, ovviamente, si fermava incuriosita ai margini del nostro spazio di gioco, per capire cosa stessero combinando i due bianchi, con quei nastri e quelle strane richieste, continuamente fatte ai bambini, attenti e pendenti dalle loro labbra, riducendo ancor più i metri a nostra disposizione. Insomma, la solita situazione Inter Campus, dalla quale siamo usciti alla grande: dopo l’introduzione coi nastri a raffica per lo sviluppo della lateralità, per lo schema motorio del correre e del saltare, essendoci accorti che i bambini erano quasi raddoppiati, ci siamo divisi materiale e giocatori e abbiamo proseguito la seduta separati, concludendo dopo un bel lavoro analitico e una bellissima, per come l’hanno sviluppata loro, esercitazione situazionale, con un torneino a cinque squadre, su un mini campo 4<4 con doppia porta. Bello. Tutti sorridenti, contenti e soddisfatti. Io e Silvio, forse, più di tutti. Stanchi, sudati, ma contenti. 

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