mercoledì 24 febbraio 2016

Angola 2016

Viaggio lungo, notturno, ma tuttavia semplice, quasi piacevole, ed eccomi nuovamente a Luanda, accolto dalla solita sberla di caldo umido, tipico di questa città, e da quell’odore forte, intenso, unico, che è un misto tra l’odore delle fogne di Calcutta d’estate e lo spogliatoio di una squadra di adolescenti dopo una partita di fine campionato, giocata alle 15. Come inizio non c’è da lamentarsi…
Entrato in aeroporto i segnali del cambiamento in atto nel paese, iniziato e già osservato anni fa, ma tutt’ora in corso, sono diversi: rompifila per accedere al controllo passaporti, aria condizionata, addirittura macchinette per i passaporti elettronici che velocizzano le procedure; insomma, una bella trasformazione, una bella crescita, soprattutto se con la mente torno al primo viaggio in questo lato di mondo, quando per accedere al bancone del controllo ho dovuto fare una fila tipo tornelli di san siro e nell’attendere l’arrivo del bagaglio, con gente ovunque che mi strattonava e mi chiedeva di portare la mia valigia, ancora dispersa nel marasma del nastro trasportatore, ho sudato come durante la mezza di Gerusalemme. Rispetto al Camerun, sembra che qui qualche passo in avanti si stia facendo, ma quando salgo in macchina con Padre William, sostituto di Padre Stefano, rientrato definitivamente in Italia e di cui parlerò più avanti, e parlo con lui della situazione del Paese, scopro che è tutta apparenza. L’Angola, ricca di petrolio e altre materie prime, dopo un decennio di ricchezza sta conoscendo la crisi, che però, come ovunque nel mondo, sta colpendo solo…no, be’, soprattutto,  una parte della popolazione, quella più povera, lasciando per lo più inalterate le ricchezze di quella piccola parte di cittadini vicino al governo e alle grandi multinazionali presenti in loco, che pensano bene di salvare l’apparenza, continuare ad investire per far sembrare che tutto vada bene, piuttosto che intervenire per aiutare quella larga fetta di popolazione in seria, serissima difficoltà. Muovendoci verso la Lixeira questa cosa emerge nitidamente: per evitare l’ingaraffamento, ossia il traffico, il salesiano brasiliano passa per le strade sterrate dei quartieri poveri, dove agiamo noi col nostro progetto, e che a causa delle piogge degli ultimi tempi sono ridotte a veri e propri laghi di acqua putrida! Una cosa disgustosa: col jeeppone siamo immersi in questa melma nera e puzzolente fino alle portiere e i bambini diretti a scuola per passare da una lato all’altro della strada devono letteralmente guadare, cercando pietre che spuntano per evitare di…affogare. E che schifo le robe che galleggiano in questa palude: olio, bottiglie, foglie, rami, oggetti che è meglio non riconoscere: i passi in avanti fatti in aeroporto ti portano ad affogare nella melma della strada, ma nonostante questo la gente sorride, ti saluta, esce dalle baracche in cui vive perfettamente vestita, pettinata, soprattutto le donne, con delle capigliature incredibili, e vive la vita come se la loro fosse una condizione del tutto normale. Davvero, rimango sbalordito nel vedere questa gente muoversi in questa Venezia dei poverissimi come se niente fosse, tranquilla e sorridente, accompagnato e conciliato nella mia osservazione dalla musica di Padre William…e che musica! Slayer, Manowar, Motorhead, Sepultura!!! Mitico! Un altro salesiano metallaro. Dopo quel viaggio nelle favelas di Luanda con Powerslave a manetta nella macchina di Ste, questo è sicuramente un altro incontro piacevole e inaspettato con la mia musica preferita in terra angolana! Così, accompagnato dai growls di Max Cavalera, arrivo in Lixeira, a Sao Jose, dove starò con Max e Silvio per i prossimi giorni a dormire, muovendoci tra i vari nuclei della città per vedere i nostri allenatori all’opera e accompagnarli nel loro difficile lavoro di allenatori-educatori di ninos de rua.

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