mercoledì 16 aprile 2014

E.Z.L.N.

E.Z.L.N.

Dunque, dunque, dunque, vediamo di tirare un poco le somme e fare un po' di chiarezza: da lunedì scorso e per quattro giorni, ci siamo trasferiti all'interno di una scuola Zapatista, controllata da uno dei cinque caracol zapatisti presenti nella regione del Chiapas, parte del buon governo che si contrappone al mal governo, ossia quello centrale guidato oggi da Pena Nieto, dalla rivoluzione del 1994 ( in realtà e.z.l.n., ossia esercito di liberazione nazionale zapatista si è formato nel 1983 per controllare le terre già nelle mani degli indigeni e organizzarsi per toglierne altre dalle lunghe e viscide mani del governo, ma solo undici anni dopo è definitivamente insorto per i propri diritti) che ha portato gli zapatisti a riappropriarsi di alcune terre e a guadagnare una propria autonomia, per quanto non riconosciuta, a volte nemmeno conosciuta, dai più. Ma chi sono questi zapatisti? Mmm...vediamo di trovare le parole giuste e i riferimenti storici corretti, senza cadere nella lezione accademica o in madornali errori: come il nome stesso suggerisce, sono i seguaci delle idee di Emiliano Zapata Salazar, uno dei leader storici della rivoluzione del 1910, il cui intento principale era quello di ridare le terre agli indigeni, come sempre e come ovunque sfruttati e ridotti in uno stato di cittadini di serie b, pur essendo originali abitanti della zona, lavoratori della stessa. La tierra es de quien la trabaja, dice uno dei motti del grande leader; la terra quindi è dei campesinos indigeni di questa regione fortemente agricola e la rivoluzione zapatista di metà anni novanta ha ridato le proprietà agli storici proprietari...in parte. In parte, perché solo alcuni territori son tornati in mano agli indigeni, altri erano già loro e andavano solo "protetti",  e solo una parte di essi si è unita alla lotta (siamo arrivati approssimativamente a stabilire che sono duecentomila, ma...chi lo sa) e  ogni giorno è "lucha", è battaglia, una delle parole più utilizzate da companeros e companeras, per affermare il proprio stato, la propria esistenza, i propri diritti.
All'interno di questi territori si afferma una forma di socialismo che mi permetto di definire estrema, rigidamente strutturato e controllato dal buon governo; socialismo estremo, per cui non esiste proprietà privata, non esiste specializzazione del lavoro, non esiste individualismo in nessunissima forma: tutto è condiviso, tutti fanno tutto in funzione delle esigenze della comunità e sempre per un periodo ridotto, stabilito (se non ricordo male l'incarico dura due settimane), per cui chi oggi fa parte della giunta del municipio, domani potrebbe diventare promotores dell'educazione o parte dei sorveglianti, o muratore o lavoratore della terra, in ogni caso impiegato in incarichi utili per il mantenimento della comunità. E tutto si svolge sotto il rigido controllo della giunta e delle varie commissioni, cui ci si deve rivolgere per ogni cosa: noi, per esempio, per entrare nella comunità siamo dovuti andare dalla giunta, spiegar loro il nostro progetto e chiedere loro il permesso per fare qualsiasi cosa, il corso, gli allenamenti, le foto, mostrare video...tutto, proprio tutto. E solo dopo la loro approvazione siamo potuti entrare, seguiti dalla commissione presente per "controllarci" e aiutarci a portare avanti i lavori, e sentirci anche noi zapatisti per un po'. E in tutto questo, la libertà che ruolo gioca? O meglio, che cos'è la libertà, quando non posso scegliere cosa fare, non posso propormi, non posso decidere io dove andare, con chi e perché? In che ginepraio mi sto cacciando con questo quesito...sicuramente la libertà intesa dal compagno non è quella intesa dal milanese (o genovese, o madrileno che sia), non si base sulla possibilità di decidere autonomamente, in maniera individualistica, ma è legata alle esigenze della comunità, a ciò che è meglio per il gruppo e non per l'io; non è concepita come diritto assodato, dato per certo, proprio di ciascuno, ma come frutto della lotta, elemento proprio della comunità da guadagnare e salvaguardare con cura. E mi fermo qui, se no inciampo in chissà quali strafalcioni ideologici.
  Ma perché siamo qui? Perché sbilanciarci a questo modo, offrendo appoggio ad una lotta così fortemente politicizzata, con il nostro progetto basato sul calcio? Per quel che sono riuscito a capire in questi giorni da "compagno", la nostra presenza, il nostro sostegno è utile, teoricamente, quindi sarebbe utile a questo popolo se oltre a riconoscere a parole l'importanza educativa dello sport si aprissero a nuove metodologie e a nuove forme di coinvolgimento dei bambini, attraverso lo sport, per facilitare i loro compiti educativi,  avendo noi, nel nostro modo di far calcio attraverso questo progetto,  con loro un sacco di punti in comune: la volontà di "compartir" e non di imporre, il rispetto per le regole e la condivisione delle stesse, lo spirito di gruppo, di comunità che va oltre l'individualismo della nostra società, la disciplina...purtroppo però, come già scritto nei giorni precedenti, tutto, per ora, rimane in potenza e non si realizza, per via delle loro chiusure, delle loro paure di contaminazione e della abissale distanza tra noi e loro. Ma noi non si molla: la lucha continua anche per noi!

1 commento:

  1. Ma il subcomandante che fine ha fatto? Non per fare personalismi fuori luogo, ma per noi lui è stato il simbolo della lorootta nei '90..

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