venerdì 22 luglio 2016

Kinshasa

Come sta cambiando velocemente questa città! Non so dire se positivamente o negativamente per coloro che ci vivono, perché "passandoci" solo per un paio di settimane l'anno non posso certo capire se tutte le novità che scorgo intorno a me stiano portando migliorie o meno, ma quel che posso dire è che anno dopo anno, visita dopo visita, la città sembra un'altra.
A partire dall'aeroporto: la prima volta che siamo arrivati qui siamo scesi dall'aereo e a piedi (si, si, a piedi, in mezzo agli aerei) abbiamo attraversato le piste per arrivare al terminal, terminal dalle sembianze della peggior boglia dantesca, con una fila infinita e tipicamente africana (che non si discosta molto da quella italiana, ossia non una fila, ma un ammasso di gente in movimento, schierato in orizzontale, che spinge e strattona per far valere la propria "supremazia" territoriale), gente che chiedeva di vedere il passaporto che sbucava da ogni angolo (chiedevano il passaporto, scoprimmo in seguito, per rubartelo...pensa che bell'accoglienza) e una confusione dominante, abbellita dal caldo umido tipico di questa parte di mondo. Ma il bello era la zona del ritiro bagagli: viaggiando sempre con lo zaino, quindi non dovendo aspettare nulla al nastro, ma semplicemente facendo compagnia al mio compagno di viaggio di turno (Max sempre e allenatori a rotazione, da Raffaele, a Lore, fino a Dario), mi sono sempre potuto "godere" le scene assurdo che mi si presentavano dinnanzi; bagagli ammassati, l'uno sopra l'altro, con scatoloni scocciati qua e la a farcire l'immobile tapis roulant, che di roulant manteneva solo il nome, e gente "armata" di pettorina colorata arancione, a garanzia delle loro azioni, in piedi su di esso, che prendevano e distribuivano a mani imploranti questa o quella valigia, a seconda delle richieste e del tagliando mostrato. Sempre se la sorte ti permetteva di riabbracciare il tuo bagaglio: Lorenzo rimase una volta tre giorni senza il suo, dirottato chissà perché a Luanda, e una mia valigia piena di roba per bambini arrivò una volta a missione conclusa.
Oggi invece sembra di essere sbarcati in un altro paese: bus che ti accompagna al terminal, fresco per l'aria condizionata, con diversi posti di controllo che smaltiscono facilmente la fila, nessuna persona esterna a quelle deputate a lavorare in quella zona intorno e bagagli riconsegnati...normalmente. Un altro aeroporto! E fuori i cambiamenti proseguono: pochi anni fa la strada che ci portava in città (all'inizio stavamo nel quartiere Limite, un po' fuori) era una pista sterrata, strabordante di gente, macchine e camioncini gialli e blu (sono delle specie di Ducato, con delle panche di legno piantate al suo interno, che fungono da trasporto pubblico; senza finestrini, sempre colmi oltre ogni possibilità umana...assurdi!), vere schegge impazzite, spesso senza luci, che occupavano tutta la strada, in ogni dove. Oggi...è ancora così, anzi, forse le macchine e la gente che occupa la strada sono ancora di più e il traffico, anche a causa del comportamento a dir poco indisciplinato della gente, è peggiorato, per quanto incredibile possa sembrare, ma la strada in se', lo spazio da occupare è aumentato ed è tutto asfaltato. Addirittura in alcuni punti c'è anche un marciapiede, o almeno una zona che potrebbe, dovrebbe, fungere a tale scopo. Insomma, la città sta rinnovando il suo vestito, si sta rifacendo il trucco grazie alla "cosmesi" cinese (tutte le strade sono costruite dai cinesi, così come i grandi edifici nuovi del centro, della zona della Gombè), Kinshasa sta curando la sua apparenza e si presenta migliore rispetto al nostro primo incontro, ma non son certo che questo basti a dimostrare un miglioramento delle condizioni di vita. Sicuramente l'economia del paese sta crollando, vista l'ennesima svalutazione in atto del franco congolese e vista la crisi mondiale delle materie prime (che qui sono la base di tutto e per tutto), e i bimbi che chiedono di entrare a far parte di Inter Campus sono sempre di più, a dimostrazione di ciò. Per cui...rimbocchiamoci le maniche e scendiamo in campo, bagai. 

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