venerdì 13 febbraio 2015

L'angolo del mister

L’ANGOLO DELL’ALLENATORE

Musica consigliata: Redemption song, Bob Marley (per rilassarsi, se no uno si incazza!).
Son duri, come dice il Pihardi. Madonnina se son duri. Alcuni ci provano e si impegnano, altri hanno anche ormai imparato a lasciar fuori dal campo il bastone per frustare i bambini che sbagliano (le prime volte che venivo qui era la norma), per armarsi solo di sorriso, intensità nelle proposte e attenzione ai bisogni reali del giocatore, ma in generale…son duri! Fanno fatica a capire e a far proprie le cose, il più delle volte copiano, ricalcano passo dopo passo le tue sedute, i tuoi allenamenti, in maniera fredda, per nulla personale e senza entrare in relazione con i bambini, limitandosi così a proporre, non ad allenare. E qui, che ci hanno incontrato per la prima volta, queste caratteristiche tutte camerunesi sono emerse in tutta la loro purezza. A parte qualche eccezione. E questi devono essere i nostri cavalli. Come Flora o … e forse anche Wilson: tutti allenatori svegli, che hanno recepito il messaggio, l’han fatto proprio e messo in pratica sul campo, dando vita ad esercitazioni belle, valide e…loro. Certo su 34 un po’ pochini, ma essere allenatore inter campus non è per tutti nemmeno in Italia, quindi partiamo da loro e andiamo avanti, domandandoci tutte le volte: perché? Perché copiano la mia esercitazione? Perché maneggiano i contenuti teorici, ma in campo, gli aspetti pratici, rimangono sempre lontani da quelli da noi desiderati? Ora mi lancio in una disamina sociologica...Occhio!!! 

In questi dieci anni di Africa mi sono spesso imbattuto in questo problema, ho spesso, e tuttora ci provo, cercato di stimolare la loro fantasia, di far emergere il loro modo di essere allenatori, il loro proprio, unico e per questo validissimo "stile", ma a parte i pochi "illuminati" (di cui ho già parlato), le vittorie son state pochine. Al punto che mi son detto che forse era già qualcosa fargli fare ciò che facciamo noi, lasciargli copiare le nostre sedute: per lo meno avrebbero abbandonato il bastone e avrebbero sviluppato sedute incentrate su di un solo obiettivo e non sui soliti mille, introducendo divertimento e apprendimento, ma...ma non è questo il mio obiettivo. E allora cosa si può fare? Questo approccio al lavoro lo si rivede in tante altre cose, in tanti altri luoghi, ove se manca il bianco a muoverli a bacchetta, a comandarli su tutto, a far loro da modello, le cose vanno a ramengo, quindi che possibilità posso avere io, con la mia semplice, seppur bella, pallina di cuoio? Perché si comportano così? "Perché son duri" fa sorridere come spiegazione, ma non la ritengo valida. E se fosse per colpa nostra? In fin dei conti gli africani fino ai primi anni sessanta, gli anni dell'indipendenza, hanno subito la nostra violenta e assoluta dominazione, che li ha costretti...ad eseguire, fare meccanicamente ciò che noi imponevamo loro, senza applicazione del pensiero, senza elaborazione di una qualche forma di azione "autonoma"; e se tu educhi il giovane calciatore a giocare la partita guidandolo dal primo all'ultimo minuto, consigliando ogni soluzione, ogni gesto, ogni sviluppo della manovra, questi vivrà la partita stile omino di PES, mosso dal joypad, per nulla indipendente e nel momento in cui io, improvvisamente, cesserò di guidarlo dalla panchina, questi andrà a sbattere contro avversari e palo, incapace di scegliere, di giocare liberamente. Ecco, forse i nostri allenatori non sono altro che il frutto della nostra dominazione e hanno ancora quel maledetto joypad in c..o e si aspettano che sia il bianco a manovrarlo e a portarlo dove vuole. E per uscirne serve solo perseveranza, continuità negli interventi, al fine di staccare quel filo e liberare i nostri mister. Forse... 

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