venerdì 6 febbraio 2015

Baffousame

BAFFOUSSAME 

Alla procure, dove siamo a dormire, ci si alza presto: un po’ le campane che chiamano alla preghiera mattutina i vari preti, un po’ la vita la fuori che inizia a prendere forma, accompagnando il sorgere del sole, diventa difficile rimanere sdraiato su questo pezzo di compensato solido, mio giaciglio per la notte, quindi meglio alzarsi, uscire e allenarsi un po’. Pronti, quindi, si va: esco e inizio il mio riscaldamento, ma subito vengo accompagnato da un ragazzo, incuriosito dalla mia corsa, che decide di unirsi a me…per il primo chilometro, poi ansimando mi saluta e dice di aspettarmi alla procure per finire di parlarmi. Perso un compagno per il seguente chilometro ne guadagno un altro, molto più spartano del primo, che prova in ciabatte e calzoni a seguirmi per un po’, ma ben presto abbandona anche lui l’intento e la curiosità spinge gli altri aspiranti corridori, manco fossi forrest gump, a fermarsi a bordo campo, visto che finito il riscaldamento decido di evitare la folla effettuando le ripetute del mio programma quotidiano sul campo da calcio della cattedrale. Passo e ripasso sotto la “tribuna” dove un paio di ragazzi si sono fermati ad osservare questo bianco un po’ fuori che gira come una trottola intorno al loro stadio, senza capirne le motivazioni, incitandomi o semplicemente chiamandomi ad ogni passaggio. “Blanc, blanc”, o ancora “jeuer, jeuer”, sono i richiami più diffusi. Chissà che cacchio stanno pensando? Da noi è normale correre, fare sport; ormai in ogni dove incrociamo gente vestita di tutto punto, pronta esteticamente per la maratona di New York e nemmeno più facciamo caso a dove sta correndo e a come sta correndo. Qui invece sono, siamo, merce rara, scimmie albine da osservare e studiare. Mi piacerebbero ascoltare i loro pensieri, leggere nelle loro menti. Chiudo l’allenamento sudato e piuttosto provato (l’infortunio non può ancora dirsi superato, cacchio), ma sulla strada di casa mi fermo ancora per un attimo: incrocio infatti gli alunni di una scuola elementare vicina intenti, in gruppi di tre o quattro, nel trasportare delle panche dalla Chiesa alle aule, compiendo sforzi immani per il loro piccolo corpo (sono nani delle elementari, di al massimo 8 anni e le panche sono quelle di legno, pesantissime, delle chiese!!!). Decido allora di dedicare il defalcante ad una sorta di vai e torna dalle aule alla Chiesa, trasportando le varie panche e non appena gli ultimi della fila capiscono che il bianco avrebbe fatto il lavoro al posto loro si fermano, lasciano il loro peso per terra e aspettano il mio intervento. Seeee, aspetta e spera, ciccio! Ti aiuto, non faccio tutto io. Su, prendi da quella parte. Muoviti, dai, non posso fare tutto. Su, petite, su. Risate (basta pochissimo per far ridere un nano scuro, veramente pochissimo), sguardi incuriositi degli adulti e ringraziamenti, accompagnano il nostro lavoro e ben presto mi ritrovo in macchina, pronto per un’altra, lunga, bellissima, giornata di allenamenti in giro per i villaggi della regione dell’ovest.


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