martedì 16 luglio 2013

Mbalmayo 2013: giornata 4

9 Luglio
Rileggendo ora ciò che ho scritto ieri, trovo un filo conduttore che lega la giornata di ieri alle 24 ore che vanno ora concludendosi: la bellezza e l'infinita durata! Anche oggi, infatti, ho vissuto un giorno splendido, ricco di emozioni e grandi esperienze, ma anche oggi, cacchio, mi son mosso insieme a Max, Gabri e Francis dalle 7 fino alle 19 senza sosta, se non l'ora trascorsa a mangiar riso e patate (Berry Sears non mi rivolgerà più la parola!). Con oggi, infatti, ha avuto inizio il corso di formazione qui a Mbalmayo: 40 allenatori, provenienti da tutto il paese, quasi tutti novellini che rientrano in un progetto di svecchiamento del gruppo di allenatori voluto da Francis, che accompagnano 60 bambini, con i quali da oggi, e per i prossimi tre giorni, abbiam dato vita a incontri teorici e pratici, sul campo. E con oggi, dopo le due ore e mezza trascorse positivamente in aula, ascoltando le loro domande inerenti ciò che stavo illustrando, son riemerse in me riflessioni, son cresciuti nella mia mente pensieri ormai soliti da quando "scendo" a queste latitudini, riguardanti i camerunesi, il loro modo di pensare, di comportarsi, di essere. Mi sembra sempre che non vogliano applicarsi in nulla, che siano sempre e solo alla ricerca di un trucco, un espediente per ottenere delle cose senza pensar troppo, senza troppo impegnarsi e far fatica, aspettando solo che il bianco, il maledettissimo bianco dico io, gli serva la pappa pronta nel piatto, pronta per essere addentata; e quando si rifiuta di servire il pasto pronto, il bianco, ma cerca di stimolare la riflessione, il pensiero, l'abilità propria del giovane allenatore camerunese, va a sbattere contro un muro di interrogativi, di dubbi, di timori che fuoriescono dalle teste nerissime che ho di fronte. Un esempio? Oggi in aula Gerrard mi chiede:"Come posso fare se ho venti bambini di età differenti, molto differenti, che mi si presentano contemporaneamente al campo? Ne mando a casa qualcuno?" dopo che poco prima avevam parlato dell'importanza, per essere allenatore, della capacità di organizzare i bambini, i gruppi, in modo da poter dedicare a ciascuno i tempi giusti, i momenti giusti, per rendere l'allenamento veramente un momento di crescita non solo tecnica. "Gerrard, i bambini non si devono presentare al campo a caso, quando vogliono: devi dare degli orari, dei momenti, per ciascuno, per ogni gruppo squadra che alleni", ribadisco, provando ad accendere in lui una lampadina, "ah, ok. Allora come posso organizzare le cose?". Ecco l'esempio: dammi la ricetta, dice lui, così faccio le cose giuste, come vuoi tu. E in questo caso non è nulla di esageratamente, almeno così mi dicono,  importante; si tratta solo, "solo", di un allenamento. Lo stesso atteggiamento, approccio alle cose, lo ritrovi in un sacco di altre situazioni: al ristorante, in hotel, al bar, negli ospedali (esperienza indiretta questa, racconto di dottori e infermieri, bianchi, che da queste parti vivono in pianta stabile); se non c'è il nassara (come chiamano noi visi pallidi) a comandare a bacchetta per fare le cose, loro non fanno nulla: non prendono l'ordine, non sparecchiano, non cambiano la flebo, non si prendono cura del bambino fuori dal campo, ma gli prestano attenzione solo nelle due ore di allenamento, al di fuori delle quali per loro non esiste nemmeno. Quindi? Come intervenire? Come cambiare questa mentalità, quest'approccio passivo alle cose, a tutte le cose? Francis dice che l'unica è insistere, insistere e ancora insistere, richiamando l'attenzione sugli atteggiamenti negativi, sugli errori, ribadendo in continuazione il giusto fare...giusto? Chi mi dice che è giusto? Be', certo, io credo in ciò che faccio e son sicuro che sia giusto il mio modo di pormi nei confronti del bambino in campo, ma alle mie latitudini. Non qui. Non in un Paese libero dal colonialismo, dall'invasione e dallo sfruttamento, anche se sotto quest'aspetto in realtà non sarà mai libero,  da soli sessanta tre anni, educato, abituato, costretto da sempre a ottenere le cose per gentile concessione della mano bianca, a essere guidato, governato in tutto e per tutto da "presenze esterne". Per forza non pensa nemmeno a fare: è educato a sentirsi dire cosa fare, difficilmente prenderà iniziativa, proverà, sperimenterà qualcosa di nuovo. Solo col tempo, solo insistendo, solo educando il bambino a pensare, a ragionare e a prendere autonome decisioni, forse arriveremo a un cambiamento. E allora...insistiamo!

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