martedì 17 ottobre 2023

Adesso un po' di paura ce l'ho

 "A car is coming". Lapidario Niko. Ma la sua comunicazione non verbale dice molto di più. Così come quella degli altri compagni di viaggio. Quest'ultima telefonata ci ha un po' scombussolato. Il clima tra noi quattro è sempre stato in questi giorni abbastanza disteso, ci siam sempre sostenuti a vicenda con un sorriso, una battuta, una risata contagiosa, senza mai confidare l'effettivo stato emotivo, nascondendolo forse un po' anche a noi stessi, ma oggi le cose sono un po' diverse. Anche Honey non parla tanto, cammina avanti e indietro nella hall, continua ad aprire e chiudere il suo valigione e a toccarsi la sua infinita chioma riccioluta, in attesa della tanto attesa vettura. Chissà cosa le passa per la testa: lei è palestinese, la sua famiglia è bloccata a Nazareth, ancor più di quanto noi non siamo bloccati qui. Se ora un po' di paura l'ho anch'io al pensiero della strada che dovremo affrontare, ma soprattutto al pensiero dei check point da superare e della frontiera che nessuno sa se sia aperta o chiusa, non riesco a immaginare come possa sentirsi lei. Ma ho poco tempo per elaborare pensieri. La macchina è arrivata. 

La prima cosa che faccio è guardare il colore della targa, che sia giallo o verde. "Fortunatamente" per noi è gialla, israeliana, così per lo meno al confine avremo una discussione in meno da intavolare coi soldati. Una in meno, tra le tante che mi immagino. Dove siete stati? Perché? Dove andate? Lei chi è? Perché la fifa è qui? Cosa pensate di fare...e mille altre domande che nei miei anni su questi campi mi hanno sempre, puntualmente, accompagnato una volta conclusa la missione, prima di imbarcarmi, oppure ai checkpoint, le volte che ci hanno fermati  rientrando dopo gli allenamenti svolti "di la". E pensando alle tante domande che ci aspettano decido di condividere con gli altri il discorso da fare, le risposte da dare. Nulla di complicato: la verità. Ragazzi, dobbiamo solo dire la verità, tanto sapranno già tutto. Insistiamo sul marchio che abbiamo addosso, proviamo a distogliere l'attenzione da Honey, per concentrarla sul grande nome che ci accompagna. E vediamo come va. 

Il viaggio è breve, poco meno di due ore. Due ore silenziose, col muso schiacciato sul finestrino osservando qua e la gruppi di ragazzini bruciare copertoni, altri con il volto coperto urlare e lanciare sassi verso un check point, o altri ancora cercare di risistemare una strada, bloccata da cassonetti rovesciati, con rifiuti ancora che fumano e segni di una qualche manifestazione non propriamente pacifica. Il tempo scorre veloce e arriviamo a Allenby bridge, vicino a Jericho (quanti ricordi mi accompagnano lungo questo viaggio...che anziano!) dove veniamo accolti da una lunga coda di macchine, bus, camioncini, fermi, a motore spento, e da gruppi di persone che parlano, gesticolano e aspettano. Il nostro autista supera tutti sfruttando la corsia opposta e arriva proprio vicino al "casello", per poi parcheggiare di traverso. Insomma, non proprio un bellissimo ingresso, cazzo. Si avvicina un soldatino di vent'anni, non più, col suo bel fucile in mano, Ahmed, l'autista, gli parla in ebraico e gli mostra la lettera inviataci dalla fifa come "lasciapassare", ma lui non si scompone e, sebbene non riesca a sentire per via della confusione esterna, capisco che il sunto del tutto è un perentorio "i don't give a shit". Ahmed però non si perde d'animo, scende dalla macchina e va direttamente a parlare con quello che può sembrare il capo, il responsabile. Discutono, il nostro sempre con quel pezzo di carta in bella mostra, e dopo una decina di minuti apparentemente infiniti (come cambia la percezione del tempo) torna verso di noi agitandosi e indicandoci un piccolo bus con le portiere aperte che staziona in prima linea, davanti alla sbarra. "Entrate li dentro, svelti. Buttate dentro le valigie e salite. Quando sarete di la, chiamatemi. Un'altra macchina vi sta aspettando alla frontiera Giodana". Via, nemmeno finisce di parlare che son già seduto sul bus, dove già siedono 4 americani presumo io in vacanza da queste parti. Il brufoloso soldato di prima si riavvicna. Ci chiede i passaporti. Scorge quello palestinese. E che cazzo..."chi è honey?" chiede. Scende. Proviamo a scendere anche noi, ma ci dicono di star su. Ecco, ora la fermano, penso. Io me ne andrò e lei rimarrà qui. Cazzo, cazzo, cosa posso fare? Mille scenari si aprono nella mia testa, ma...honey risale. Dopo non so quanto tempo, ma credo non più di dieci minuti, risale. Le porte si chiudono, il motore si accende: si va. Ora si va in frontiera. 

Scendiamo e non abbiamo nemmeno il tempo di orientarci che una soldatessa (si dirà così?) ci indica una stanza ove entrare, mentre specifica "la ragazza palestinese viene con noi". Madonnina che ansia. E adesso? Dove diavolo la portano? Cosa diavolo le faranno? Ora siamo spaventati. Non per noi, noi siamo degli intoccabili occidentali. Ma per lei. Iniziamo le pratiche per uscire, paghiamo non so quale tassa, ritiriamo il nostro fogliettino rosa, passiamo dall'ennesimo controllo, quando la scorgiamo mentre al seguito della soldatessa che l'ha "accolta" sta venendo verso di noi, sventolando  anche lei il foglietto rosa (il visto di uscita, in pratica). E' fatta! Siamo fuori. Tutto è passato con un po' di paura, di ansia, ma super semplicemente! Wow!!! Siamo fuori. Ci fanno salire su un altro bus che ci porta fino a "di la" insieme a un'altra cinquantina di persone e quando scendiamo l'altra macchina è li ad attenderci. Sbrighiamo le pratiche di ingresso comodamente seduti in una angusta stanzina sorseggiando caffè col cardamomo e saliamo in auto. 

Via, siamo in Giordania. Tutto sto casino e siamo già in Giordania. 

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