Hong Kong parte seconda
Il tempo corre, non scorre, e solo ogni tanto
si acquisisce la consapevolezza, ci si rende conto che ci è scivolato dalle
mani: abbiamo riempito talmente tanto le giornate, le settimane, di impegni,
attività, momenti fitti, che nemmeno ci ricordiamo bene cosa abbiamo fatto,
cosa abbiamo vissuto. E da questa trappola è difficile, a volte impossibile,
uscire, tanto che mi ritrovo oggi su questo aereo a cercare di fissare su carta
virtuale gli accadimenti di questi ultimi giorni con il fermo obiettivo…di
viverli!
Dell’Etiopia, dell’avventura a Dire Dawa un po’
ho fissato i ricordi, l’operazione poi, il Laos mancato poiché stampellato e
ora Hong Kong, 4 giorni che mi sembrano 10, considerando la durata infinita
delle giornate. Ma erano troppe le cose in ballo, troppi gli impegni da
onorare, che altro non si sarebbe potuto fare. E devo però dire che ne è valsa
la pena.
Il campo l’ultimo giorno è stato un piacevole,
piacevolissimo, successo e ancora una volta giocare con tutti quei bambini spiegando
loro esercizi, correggendo i loro goffi gesti tecnici, incitandoli e gasandoli
dopo un gol o una bella azione, il tutto in una lingua sconosciuta ai più, ma
assolutamente comprensibile a noi e utile allo scopo (loro parlano cinese, io per
nulla. Io parlo inglese, loro per nulla. E allora via, con gesti, mimi, sorrisi
e parole italiane che diventano dizionario comune), mi ha regalato grandissime
emozioni. Ancor più speciali del solito su questi campi, perché con noi hanno
giocato quasi 150 bambini con disabilità intellettive e la sfida è stata ancor
più complessa.
Chi saltava senza sosta, chi si chiudeva a uovo ogni
volta che mi giravo verso di lui dondolando avanti e indietro, chi continuava a
urlare versi senza senso…quando tutti questi bambini sono arrivati al campo
questa è stata una parte dei loro comportamenti. Non male, pensavo tra me e me.
Non erano mai venuti prima, non avevo avuto modo di allenarli nei giorni
precedenti, di farmi conoscere, di capire quali codici per la comunicazione poter
sfruttare con qualcuno e quale altro con qualcun altro. È stata una sorpresa. E
non dovevano nemmeno essere così tanti. Invece…invece non finivano più e oltre
a loro avrei dovuto coinvolgere le bimbe piccole di due scuole incontrate e
allenate la volta scorsa, un mese fa. Totale, 202 bambini in campo
contemporaneamente su 9 mini campi, con l’ausilio di 18 allenatori. Senza
dimenticarci degli altri 70 impegnati sugli altri due campi adiacenti. Non
nascondo che prima del mio fischio di inizio ero piuttosto preoccupato:
presidente della federazione, un rappresentante del ministero dell’educazione,
madame fatimata, il mio capo, più una serie imprecisata di altri esponenti del
mondo del calcio o del governo erano li per assistere al “festival football for
school” e non poteva certo venir fuori una baraonda senza senso. Quindi ero
teso, super teso. Una volta però divisi in gruppi tutti i bambini e le bambine,
accompagnati tutti nel loro campo e consegnate le squadre ai vari mister, una
volta che la palla ha iniziato a rotolare, le cose, magicamente, si sono
sistemate. Certo, ho dovuto “correre” (ho tolto da due giorni le stampelle…correre
è ancora la da venire) da un lato all’altro del campo per dare supporto ai
mister, intervenire, correggere i bambini, dare un supporto prima al campo uno,
quindi al campo 7, modificare se non completamente stravolgere le esercitazioni
pensate, perché troppo difficili per questi bimbi, ma alla fine quella sfera
magica, ancora una volta, ha fatto il suo incantesimo e il campo è stato invaso
di sorrisi, urla di gioia per gol fatti, risate contagiose per errori grossolani.
Bellissimo. E i mister hanno fatto un lavoro incredibile: in Italia non riesco
ad immaginarmi 18 allenatori capaci come qui di adattarsi, rimboccarsi le
maniche e fare di tutto per donare 90 minuti di calcio a tutti questi bimbi. In
Italia ne riesco a contare forse 5 (Ferro, Teo, Roby, Gabri…cazzo 4, neanche 5)
che sarebbero stati capaci di far quello che han fatto questi ragazzi, questi
signori (alcuni erano più “grandi” di me), in campo. Chapeau.
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