BACK TO PALESTINE
Atterrato all’aeroporto
che più odio al mondo dopo un viaggio iniziato a notte fonda da Bangalore
(parlerò più avanti della mia esperienza sui campi indiani), devo ammettere che
sono un po’ teso, in ansia. Manco da questo paese assurdo da ormai quattro anni
e I ricordi legati ai controlli e ai vari militari che popolano questo spazio
non sono dei migliori; ma allo stesso tempo son contento di tornare da queste
parti, di rientrare nella confusione organizzata dei palestinesi, di tornare a
bere settanta caffè al giorno che loro bevono come se fosse acqua e che ti
offrono in continuazione, quasi offendendosi se, con le mani tremanti per la
quantità di caffeina assorbita in circolo nel tuo corpo, provi a rifiutare con
garbo. E il primo contatto con I “locals” è anche super positivo: al controllo
passaporti, infatti, una donna sorridente di mezza età, vedendo il logo fifa
sul mio petto e leggendo la lettera di invito con lo stesso logo ben in vista,
nemmeno apre il mio passaporto pieno di timbri poco graditi da queste parti, mi
sorride (addirittura???) e mi dice “ah, Fifa: welcome,
welcome. Perfetto. Si entra. E anche
I momenti successivi sono super sereni e positivi.
Bene, I miei timori, le
mie ansie, erano completamente immotivat...nemmeno il tempo di godermi questo
stato di tranquillità che, al check point da cui dobbiamo passare per entrare
in palestina veniamo travolti da una novità non propriamente positiva, per lo
meno, egoisticamente parlando, per noi: hamas ha attaccato israele con migliaia
di missili e questi hanno dichiarato lo stato di guerra. Quindi: confini chiusi
e massima allerta. Il check point, infatti, è chiuso e sorvegliato da militari
super armati. Cazzo. E adesso. L’autista però è sereno: succede sempre,
passiamo da un altro. E infatti dal punto di ingresso da questi conosciuto si
entra, ma...cacchio, non si esce! La via opposta è chiusa, bloccata, tante,
troppe macchine entrano, ma nessuna esce. “no worries, insiste l’autista,
succede sempre”. Ok, mi fido e resto sereno.
Intorno, però, a parte il
traffico allucinante, c’è un po' di casino: gruppi di ragazzini con il volto
coperto da foulard verdi e sventolanti bandiere palestinesi stanno bruciando
cumuli di copertoni vicino al muro a pochi metri dalla “frontiera” e altre
colonne di fumo nero si innalzano all’orizzonte, in corrispondenza degli altri
punti di ingresso. Ma tutto sembra comunque parte della ordinaria follia, del
quotidiano stato di “normalità” di questo lato di mondo, per cui tranquillo e
sereno arrivo in hotel, mi doccio veloce e volo al campo per preparare l’aula e
fare un sopralluogo sul terreno di gioco in vista dei prossimi tre giorni di
lavoro. I vari membri della federazione che ci accolgono ci tengono a
tranquillizzarci (ma io non sono preoccupato!) e con loro mettiamo a punto un
eventuale piano B e un C per fronteggiare eventuali emergenze dell’ultimo
minuto e insieme ad TD della federazione mi godo anche il primo tempo
dell’inter. Il primo me lo godo, il secondo un po’ meno...
Perfetto, tutto pronto.
Ho anche il tempo di allenarmi. Ottimo.
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