martedì 3 maggio 2016

Il traffico di Tehran

PRIMO GIORNO IN PERSIA

Mi sveglio completamente rimbambito: tra una cosa e l’altra questa notte siamo arrivati in stanza che erano le 3 e sentire quel suono insistente di bonghi, la mia sveglia, dopo nemmeno sei ore, è stato traumatico. 

Fortunatamente l’elastico e una bella doccia fredda mi rigenerano e riprendo sorprendentemente in fretta sembianze umane, pronto per gettarmi nel parco e correre…seee, magari. Questo maledetto polpaccio mi tormenta ancora e da dopo Tel Aviv non riesco nemmeno a camminare bene, quindi sono costretto a reprimere la mia voglia di corsa, sono costretto a immaginare solamente quella splendida sensazione, misto tra stanchezza e freschezza, tipica del dopo allenamento post viaggio, sono costretto a sfogare le mie energie in camera, con i miei circuiti di forza, prima di scendere a far colazione. Da solo, perché i miei compagni di viaggio dormono ancora, avendo deciso di saltare il pasto per recuperare qualche ora in più di sonno. E perché non lo faccio anch’io??? Be’, ok, lo confesso: la sveglia l’ho puntata con l’intenzione di andare a correre (scusa, prof, so che ti avevo detto che non l’avrei fatto e mi sarei curato), ma il test pre-corsa è fallito e con la delusione che avevo in corpo non sarei comunque riuscito a riprendere sonno, quindi meglio iniziare la giornata. L’appuntamento con Leila, la signora della fondazione che ci ha contattato per iniziare il progetto da queste parti, è fissato in tarda mattinata, quindi posso fare le cose con estrema calma, come mi succede solo in viaggio. E la cosa mi riporta alla mente il pensiero ricorrente della stupidità del nostro (lombardo) modus vivendi, incentrato sul correre, sulla lotta con le lancette del tempo, sul volare sopra le 24 ore, senza mai riuscire a planare e toccar terra, per goderci realmente il tempo, i minuti, le ore. In pieno relax, mi dedico quindi alla scrittura e alla lettura, per poi presentarmi in perfetto orario e dare così ufficialmente il via alla missione. Il primo meeting è fissato in un ristorante persiano della città a soli…45 minuti dall’hotel: il tempo è relativo e in una megalopoli da 17 milioni di abitanti (raccolti nell’area metropolitana, che ne fanno la terza più grande città del medio oriente) un tempo di una partita di calcio non è nulla. Il traffico è incredibilmente peggiorato rispetto alla mia ultima visita: incredibilmente perché non pensavo potesse essere peggiore di come era, invece ancora una volta mi rendo conto che non c’è limite al peggio. Macchine da tutte le parti, guida a dir poco anarchica, gente che affronta dei pezzi di strada contromano per guadagnare spazio, per raggiungere prima la propria svolta e, cosa più incredibile, pedoni da tutte le parti! Anche in quella che possiamo paragonare alla nostra tangenziale: belli tranquilli e sereni, attraversano la strada, camminano in senso contrario a quello di marcia…va bene il fatalismo tipico mussulmano (inshallah, giusto?), ma voi siete matti! E a tutto questo, si aggiunga la solita, continua, incessante comunicazione fatta attraverso i colpi di clacson: beep...bip...beep, bip. Che significano: "attento che arrivo", "guarda che devo girare", "attento al pedone". Un frastuono infernale, che però è ben tollerato da tutti, senza attacchi di ira, insulti, o gesti strani con le mani. Tutti tranquilli, seduti nel loro abitacolo (anche un sacco di donne, per lo più giovani), intenti a "chattare" a modo loro con gli altri conducenti.

Al termine del pranzo, ovviamente a base di chelow kebab e della loro tipica bevanda, fatta di yogurt e sale (buonissima, ma della quale non ricordo mai il nome…doonsah, doonogh, non ricordo), ci si rimette in macchina e si torna in quel manicomio mobile che è la strada, questa volta direzione campo, dove entro in contatto con ciò che mi interessa: bambini, allenatori e allenamento. Vediamo un po’…

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