mercoledì 25 maggio 2016

Avventura a Las Tunas

NON C’È LIMITE AL PEGGIO


Dopo un’ora che aspetto per avere un’aula dove iniziare il corso, sbotto e inizio a riempire di insulti quel coglione di Aristide, Aristotele o come chezzo si chiama, chiedendo al prof di andarcene immediatamente. 

Come al solito Silvio intercede, media, prende in mano la situazione e…mi ritrovo in aula a parlare del gesto tecnico con 12 allenatori, dopo nemmeno dieci minuti. Solo tre di questi sono ufficialmente parte di Inter Campus, anche se a modo loro, ossia con 90 bambini, senza ricevere le maglie, senza ricevere la formazione cui noi annualmente invitiamo tutte le nostre provincie, in modo quindi un po'...anarchico. E questa "anarchia" è una risposta delle provincie alla mancanza di controllo del centro, della capitale, di L'Havana, là dove risiedono i problemi. Già, perché è da li che parte tutto: L'Havana, dove stanno i “capi” e dove dobbiamo obbligatoriamente passare per poter dar forma al nostro progetto sull’isola. Li, dove sta Garces, il nostro referente, responsabile del calcio all’interno dell’inder, una sorta di CONI italiano, il ministero dello sport, e li dove tutto si complica, dove tanto si disperde, dove pochi lavorano come noi vorremmo e come noi chiediamo da anni, li dove nasce questa carenza di controllo delle cose,  da dove parte il messaggio per cui ognuno libero di autoorganizzarsi e autogestirsi come meglio crede, o meglio li dove non parte il messaggio che dovrebbe dare linee guida condivise con noi per tutti i nuclei, per tutte "le squadre", per tutti gli allenatori.  E perché succede tutto ciò? Perché, credo io, Inter Campus in questi anni è "cresciuto", si è evoluto e ora richiede più lavoro, più attenzione, più dedizione e non tutti i partner si sono ancora adeguati a questo cambiamento, per cui a volte ci ritroviamo a dover gestire questi pasticci. Ma ok, serve anche questo: se tutto andasse bene, non servirebbe la mia presenza qui, non saremmo...inter campus e non sarebbe, quasi, divertente. Bisogna però intervenire, bisogna però stabilire una strategia per migliorare la situazione. "Dobbiamo rientrare a L’havana, prof. È inutile star qui: fare il corso a non si sa bene chi è perdere del tempo, con una cosa che è solo in parteciò che vogliamo. Dobbiamo tornare nella capitale e la dare le linee guida in maniera chiara e dettagliata a tutti, dividere i gruppi, stabilire il modus operandi, per iniziare a far crescere, far migliorare il tutto”. Silvio non ci pensa nemmeno un attimo "ok, mister. Siamo d’accordo". Si rientra, allora, ma…non ci sono voli disponibili ci dicono Eligio e Ste! Quindi? Quindi...pullman. È l’unica soluzione possibile: il bus, con le sue undici ore di percorso, per poter rientrare nella capitale "velocemente" e organizzare gli incontri con il ministero dello sport e i responsabili dell’asociation del futbol e provare a risolvere, o per lo meno migliorare, l’assurda situazione in cui ci troviamo ora. Presa la decisione, si aggiunge però un altro problema: per acquistare il biglietto dobbiamo andare, muniti di passaporto, al terminal della città, pagare i 39 cuc, equivalenti a 39 $ (cifra irraggiungibile per loro, se pensiamo che 1 cuc equivale a 25 cup, i soldi nelle loro mani, e che lo stipendio mensile di un insegnate è di 400 cup) e rientrare, ma per far tutto ciò ci vogliono circa tre ore e noi nel pomeriggio abbiamo l’allenamento coi 60 bimbi, quindi non abbiamo tutto quel tempo. Porca zozza, non ce ne va bene una! Quindi? sa fem? Ci viene in soccorso Kissi, la ragazza di quella specie di b&b dove stiamo: "se mi date 5 cuc, faccio io tutto e voi potete lavorare tranquillamente". Mi ricorda un po' il bambino che aiuta Oronzo Canà e Bergonzoni a trovare Giginho a Rio de Janeiro, la ragazza: ne' figlio di immegreti, ne' figlia di preta pura.

Non nascondo la diffidenza, il timore iniziale: se questa scappa con i nostri passaporti? Se ci ruba i soldi chi se ne frega, ma i documenti sono ben importanti. Abbiamo altra soluzione, però? “Bisogna aver Fede”, mi esorta il prof. 

E fidiamoci, allora. E che Dio ce la mandi buona.

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