domenica 27 maggio 2018

Al villaggio

I BAMBINI DEL VILLAGGIO
Il “nostro” villaggio è a più di un’ora e mezza di distanza dalla città, dopo lunghe file di macchine e tuc tuc selvaggi, dopo lunghe lingue di asfalto che tagliano in due immense risaie, dopo paludi ricche di fiori d’acqua di colori misti da me indecifrabili, dopo che la normale strada lascia spazio alla terra e alla polvere. Dopo tutto questo, arriviamo alla nostra meta. Dopo tutto questo ogni mattina riusciamo a raggiungere il nostro mini campo da gioco, dove in successione e insieme ai due allenatori locali diamo forma a quattro sessioni di allenamento, due mattutine e due pomeridiane, sotto un sole potente e afoso come quello di Milano il 15 di agosto (forse peggio), capace di farti sudare da fermo. Poveri bimbi. Che caldo. Ma questa è la norma da queste parti e non facciamo altro che rispettare il loro normale orario scolastico, che prevede allenamenti per le cinque classi coinvolte in inter campus, 175 bambini, durante le canoniche ore di educazione fisica. Quindi ci adeguiamo, sudiamo come durante il ritiro estivo pre campionato, ma non perdiamo un minuto di campo, cercando di accompagnare in qualche modo, nel nostro modo, la scuola nel suo programma educativo. Ovviamente è la scuola la cosa più importante e noi siamo solo di accompagnamento, di supporto, scuola che grazie a Missione Possibile quasi 400 bimbi del villaggio, ma anche di quelli vicini, hanno l’opportunità di frequentare, per lo meno per il primo ciclo. Poi la strada, i campi, i bisogni delle famiglie, prendono il sopravvento e le aule vengono rimpiazzate dagli stanzoni della vicina fabbrica di tessuti, dalle umide risaie della zona, oppure spesso per le bimbe, mi raccontano, dalle quattro squallide pareti di casa, poiché costrette a sposarsi e a rinunciare a qualsiasi speranza di istruzione per dedicarsi alla famiglia. Pochi anni, quindi, ha a disposizione la scuola per cercare di dar loro una base educativa che possa servire per la vita, oppure per convincerli a rinunciare a qualsiasi altra tentazione esterna, per cercare di costruirsi un futuro diverso da quello che per molti sembra essere già segnato. Eppure guardandomi attorno non riesco a cogliere, a percepire queste difficoltà, questa povertà, questa situazione così estrema, come mi viene descritta. Certo, i “nostri” bimbi sono scalzi e anche in campo calciano la palla a piedi nudi; certo le case intorno a noi sono per lo più palafitte (qui quando piove si inonda tutto) di legno; certo, intorno a me l’ambiente non è proprio quello che si coglie intorno al campo di Playmore, dove alleno quando sono in Italia; certo, tutta la gente che vedo intorno a me mangiare sembra vivere quotidianamente di solo riso e altre…”robe” di non sa bene quale origine, per noi non commestibili,  però…però un cacchio! Un bimbo, una famiglia, che vive così, che vive qui e può vedere attraverso tv o internet (qui la linea vola) l’alternativa la’ fuori, ad appena 80km di distanza, nella grande città, è quasi scontato che decida di abbandonare il tutto per cercare il grande salto, per cercare “fortuna” altrove, abbandonando tutto, anche la propria educazione, anche la propria istruzione, anche la propria fanciullezza. 


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