venerdì 20 ottobre 2017

Security control

Madonnina come odio questi controlli! Sono otto anni consecutivi che due volte all'anno metto piede in questo Paese e sono quindi 16 volte che tra andata e ritorno, in aeroporto, vivo questa esperienza fastidiosa e...che mi fa incazzare!!! Capisco bene le preoccupazioni e i controlli serrati in ingresso, soprattutto se c'è qualche pirla con visto sgradito sul passaporto (ogni riferimento è puramente casuale), ma in uscita??? Che senso ha svuotarmi valige e zaini vari con questa minuzia? Tutte le volte essere processato prima del check in e assistere allo stupro in diretta dello zaino per non so quale timore nei miei confronti (suvvia, sapete bene chi sono e cosa faccio qui; non rappresento certo una minaccia, cacchio) mi manda in bestia. In questa occasione mi ero premunito, per evitare il solito simpatico trattamento, organizzandomi con uno zaino da spedire e non più con il mio solito da cabina (prima volta in 13 anni di Inter Campus che spedisco la valigia), ma, ahimè, anche questo stratagemma non è servito. Anche questa volta domande su domande e la fila di sinistra! Che cos'è la fila di sinistra? È quella che ti fa buttar via per lo meno 90 minuti, quella che ti fa sudare in compagnia di altri derelitti in attesa di essere sospettosamente controllato attraverso tre passaggi (zaino e tasche passate al setaccio con una specie di spazzolino per i denti di un ippopotamo, camminata sotto il metal detector e nuovo controllo con il medesimo spazzolino di zaino, computer, scarpe e oggettistica varia), per poi essere rilasciato da questi ragazzini maleducati. Già, perché ai controlli ci si imbatte sempre in ragazzi e ragazze poco più che ventenni, antipatici e maleducati, mai sorridenti e un minimo accomodanti, pieni di domande sospettose e sguardi infastiditi, che rendono ancora più negativo il tempo trascorso in piedi, in attesa di essere rilasciato. Che palle!!! Davvero, non reggo più questa cacchio di situazione, questo cacchio di trattamento. Quando finalmente riesco a sedermi nella "piazza centrale" circolare dell'aeroporto, in attesa di imbarcarmi al gate, tutte le volte penso di non venir più qui, di lasciare il compito ad uno dei "miei" ragazzi, io ormai ho dato. Poi però, sempre seduto in quella piazza di attesa, ripenso agli allenamenti in west bank, a quel muro e a quei due mondi così distanti, ma tremendamente vicini, se non sovrapposti; penso alle sedute con bambini palestinesi e ebrei nella stessa squadra, al passaggio fatto dall'uno all'altro e al significato, magari illusorio, di quella palla che corre sull'erba sintetica del campo di Beit Safafa calciata da quei piedi così "diversi"; penso alla bellezza mistica e infinita della città di Gerusalemme, al fascino unico del western wall, alla suggestione irraggiungibile della via dolorosa, ai millenni di storia e di religione sui quali cammino ogni volta; penso alla nostra ormai tradizionale corsa intorno alle mura della città vecchia, sfiorando le porte della città per arrivare e correre fin su, sulla salita sfiancante che porta al monte degli ulivi, da dove si gode di una vista unica sulla città, con la sua caratteristica cupola d'oro in bella evidenza, la sua porta d'oro subito sotto (la più antica delle porte della città, unica ad essere murata, chiusa fino al secondo ritorno di Gesù secondo gli uni, o fino alla ricostruzione del tempio, secondo gli altri) e tutti i suoi luoghi sacri a portata d'occhio. E quando penso a queste cose un bel "vaffa..." vola agli addetti della sicurezza, accompagnato da un arrivederci a Marzo. Magari questa volta col passaporto senza visti sgraditi.

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