domenica 8 ottobre 2017

Road to Tel Aviv

Certo che però me le vado a cercare! Conoscendo bene i fastidiosi e invadenti controlli della sicurezza dell'aeroporto di Tel Aviv, presentarsi al controllo passaporti per la seconda volta in due anni con fra le pagine un visto di ingresso Iraniano è una mossa da vero pirlone. Oltreche, ovviamente,  una mossa che mi fa perdere un sacco di tempo, ma sopratutto una mossa che mi fa sentire quasi colpevole di chissà quale reato: le continue richieste di chiarimenti, i sospetti, la tensione che creano questi ragazzini che spulciano fra le pagine del passaporto e ti inondano di domande, mi portano tutte le volte ad autoaccusarmi di tutti i delitti irrisolti nel paese dal 2005 ad oggi!!! Che ansia, come direbbe mia nipote Chiara. La procedura è sempre la stessa: occhiata al passaporto, giro fra i visti, occhio che si sgrana quando lo sguardo cade sulle scritte in farsi, passaporto chiuso e riposto sul lato, telefonata e..."puoi seguire il mio collega, mister Alberto?". Ma certo, non aspettavo altro. Stanzina con altre persone,  tutte in attesa di venir chiamate per poter motivare la propria presenza nel Paese e giustificare il loro presunto reato: l'esser stato in un posto a loro non gradito, provenire da un posto a loro non gradito, o semplicemente essere una persona non gradita. La fortuna però questa volta ha deciso di darmi stranamente una mano mandando con me Omer, il nostro allenatore di Tel Aviv, che ha parlato in ebraico al ragazzo che mi ha fermato, spiegando il perché della mia venuta in Israele, spingendo molto sul fatto che fossi un allenatore dell'inter, dopo aver scoperto fosse un amante del calcio e un appassionato di quello italiano. Bellissimo (adesso bellissimo, al momento non lo è stato per niente) quando un altro ragazzone della sicurezza è entrato nella stanzina, mi ha chiamato e Omer, cercando di ottenere una velocizzazione delle procedure, gli ha parlato dicendogli: "lui è l'allenatore dell'Inter"; il bestione mi ha guardato e con tono scocciato si è rivolto al mio buon amico dicendo "lui non è l'allenatore dell' Inter; io so chi è l'allenatore dell'inter". E certo che non lo sono, se no certo non verrei qui ogni sei mesi a farmi trattare come il peggiore dei terroristi di questo folle mondo! Sono un cacchio di intercampista che prova in tutta umiltà a far funzionare questo folle progetto di integrazione tra israeliani e palestinesi attraverso il gioco del calcio, coadiuvato, sostenuto nel suo lavoro da un bel gruppo di altri matti con cui condivido la passione per l'inter e per la causa, ossia i vari Yasha, Ema, Arturo, Cliff, Beisan, Rozy, Ali...una bella banda, dai.
Mossi da compassione, i vari funzionari della sicurezza decidono dopo poco di lasciarmi andare, con il mio bel fogliettino azzurro inserito nel passaporto: ce l'ho fatto, sono dentro. Ora, per lo meno fino a sabato, giorno del ritorno, posso stare tranquillo.

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