lunedì 16 ottobre 2017

Here in west bank

Here in Deir Istia
Mi fa sempre una certa impressione salire in macchina e in poco meno di un’ora ritrovarmi “al di la del muro”, in una realtà così differente da quella quotidiana di tel aviv. In pochi chilometri grattacieli e spiagge lasciano spazio a uliveti (quelli che non son stati abbattuti o occupati, o divisi dalla costruzione del muro) e villaggi con case basse e la moschea centrale, dominante; giusto appena superato uno dei check point che ti portano in west bank, entrati nella zona A, quella parte dei territori palestinesi abitata da soli arabi (diversa dalla zona b, territori palestinesi abitati da entrambi, o dalla zona c, territori palestinesi usati come cuscinetto, cioè dove non si possono costruire insediamenti urbani e che rimangono sostanzialmente disabitati) ti sembra di essere altrove, se non fossero le fabbriche lungo la strada e le targhe per lo più gialle delle macchine che incrociamo a ricordarti di essere ancora in Israele. Più o meno. Il nostro speciale autista di oggi è Buma, un uomo di cui ho già sicuramente parlato, con una vita incredibile alle spalle, ma di cui mi piace ogni tanto scrivere, per ricordare, per lo più a me stesso, che non tutti gli esseri umani sono così schifosamente egoisti e crudeli. Buma è Israeliano, non religioso, e devoto da tempo alla causa palestinese; da quando suo figlio è morto nella guerra dei sei giorni ha deciso di aiutare in tutte le maniere a lui possibili i palestinesi: facendo la spola tra Gaza e gli ospedali del suo paese per far curare bambini che senza di lui sarebbero stati condannati a morte certa in quella che può essere considerata a tutti gli effetti la prigione a cielo aperto più grande del mondo; organizzando pullman per i bambini di alcuni villaggi in west bank, recuperando il permesso per uscire a tutti, per portarli a vedere il mare, distante pochi chilometri da casa loro, ma impossibile da vedere per quasi tutti; accompagnando i “nostri” bambini, come l’ultima volta, a Gerusalemme per il torneo, ma anche per visitare la Moschea della Roccia, terzo luogo sacro per l’Islam. Insomma, il vecchietto ne fa di cose. E dal primo giorno che io e Max l’abbiamo incontrato grazie a Yasha e Jas, ha sposato la causa di Inter Campus e il suo folle progetto, aiutandoci sempre per i permessi e consigliandoci sul da farsi nei non rari momenti di tensione che accompagnano un’idea come la nostra in un Paese così diviso come questo. Durante il percorso verso il nostro campo si lascia andare alle sue classiche peripezie automobilistiche: mentre guida fa altre cinquanta cose, per cui ti ritrovi a zigzagare fra le corsie mentre scorre la sua rubrica magica, picchi la testa sul sedile davanti a te perché, improvvisamente, per rispondere al telefono, frena con violenza, ti trovi fermo in mezzo alla strada con macchine che sfrecciano suonando nervosamente, perchè vuole mostrarti il muro costruito illegalmente su questo, o quel terreno, su questo o quell’oliveto, ti accosti a bordo strada, in una zona dove certamente non potrebbe perché vuol farci vedere l’insediamento sulla collina, che domina il villaggio palestinese, la dove non dovrebbe stare. Tutte le volte essere in macchina con lui è una esperienza unica, sicuramente per tutto ciò che può raccontarti, ma anche per la paura che riesce a farti vivere: anche i tre o quattro rosari in macchina con Buma fanno parte di inter campus Israele/Palestina.

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