giovedì 20 giugno 2013

Regressando do Brasil

E' sempre strano, stranissimo, ritrovarmi la mattina dentro una favela di Rio de Janeiro e nemmeno 24 ore dopo sul "mio" campo in via Vismara, giocando da una parte con bambini inseriti in un contesto per così dire "particolare" e dall'altra con i nostri "normali".
La stessa cosa mi, ci, succede da sempre, da quando viaggiamo, ogni qual volta si rientra da uno qualsiasi dei paesi inter campus: la mattina sei nella savana di Aber, il giorno seguente sei in campo in Italia; la mattina sei sul campo del Bom Pastor a Luanda, quella seguente sei sul morbido sintetico della Calva; e così via, per tutti gli altri campi del nostro mondo neroazzurro.
E' strano, stranissimo e ancora non riesco ad abituarmi a questo stravolgimento, perché di stravolgimento si tratta, perché non è tanto il campo sul quale vado a giocare, a far giocare, a cambiare, ma le differenti, diametralmente opposte, esigenze, caratteristiche che emergono dai bambini di questi mondi così lontani, così diversi, e con esse le peculiarità di queste realtà, che mi destabilizzano ogni volta completamente. Non voglio scaricare il solito, banalissimo, camion di retorica parlando del solito bambino milanese viziato a confronto con l'africanino nulla tenente, sorridente ed entusiasta della vita e della palla di stracci con la quale gioca, ma semplicemente buttare su carta, anzi ormai su web, alcune osservazioni, riflessioni che emergono costantemente in me di ritorno dalle trasferte e che mi lasciano in questo stato di malinconica euforia per i primi giorni italiani. Rilessioni legate solo alle diverse realtà in cui vivono questi nani, che plasmano caratteri, comportamenti, rapporti con l'adulto sempre differenti e particolari, che però non corrispondono a ciò che mi aspetto, a ciò che immagino a priori. Qui a Rio, per esempio, i nani sono "favelati", bambini che vivono in una realtà in cui le armi sono come i semafori per i nostri, in cui il traffico di droga è evidente, sotto gli occhi di tutti, in cui la legge che domina è quella delle bande, dei banditi e questi bambini...sempre attenti, con grande entusiasmo a ogni seduta, motivatissimi e, la cosa che più mi colpisce sempre, con un bisogno esagerato di conoscermi, di sorridermi, di ricerca del contatto fisico: cercano sempre l'abbraccio, il contattato appunto, la carezza, mettendomi, non lo nascondo, un po' in difficoltà perché non son propriamente un socialone considerando che gli unici veri abbracci che concedo son sempre destinati a Si e mia mamma, e quindi spingendomi sempre a superare questa mia barriera un po'...rigidamente.
Nani che dispensano sorrisi, sembrano spensierati e contenti, ma cacchio...sono "favelati"!!! Come è possibile? E perché invece i miei sono imbronciati, chiusi nelle loro braccia conserte, pronti alla lamentela e a non ascoltare? Cacchio, le proposte son quelle, il gioco è quello, io sono quello! Cosa porta un bambino che cresce in un contesto oggettivamente difficile, pericoloso, a entrare in campo con un approccio che dovrebbe essere proprio di quello che ha tutto e vive comodo e agiato nella sua sicura casa nel primo mondo? Ripeto, non voglio cadere nelle retorica: voglio solo interrogarmi, cercare di capire qualcosa in più.
Un aiuto per accendere una lucina in più nella mia mente me lo danno i genitori di questi nani: già, perché gli unici contatti che ho con padri e madri dalle nostre parti riguardano lamentele legate ai minuti giocati nel corso del campionato...si, si, i minuti: genitori che mi si son presentati con un foglio con il minutaggio di tutto l'anno sportivo; o un altro che ha cercato un colloquio con me per farmi vedere come il suo figliolo, nonostante il numero delle presenze agli allenamenti, avesse giocato meno rispetto a un altro che invece si era allenato meno; o un altro, che si è lamentato con me perché suo figlio non è stato chiamato per un provino, come un suo compagno, nonostante avesse fatto il doppio degli allenamenti di quest'ultimo; o una mamma che nonostante faccia la parruchiera (e il problema non è il lavoro, ma il fatto che è esperta di un'altra cosa che non è il calcio), mi ha chiesto di modificare alcune proposte, perché poco utili, per lei, per la crescita del suo figliolo. Insomma, una serie infinita di stupidaggini, che mi fan passare la voglia di fare il responsabile tecnico e di avere contatti con gli adulti, soprattutto quando vedo poi adulti nel mondo con altri "bisogni", altre richieste a me destinate, non sempre così stupide e banali.
Allora la "causa", il motivo fondamentale sono i genitori? Già, si dice che il "pesce puzza dalla testa" e "da un pero non nasce un melo", in fin dei conti...Proseguo la mia ricerca. Tra nemmeno una settimana son di nuovo in viaggio. Vedremo.

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