venerdì 2 marzo 2012

Amarcord: Camerun 2009


A zonzo per Baffousame

Credo questo possa essere il titolo ideale per descrivere l’esperienza vissuta durante tutta la giornata di ieri. Un via vai continuo tra le “case” di alcuni quartieri di Baffousame per incontrare e conoscere di persona i bambini che son stati selezionati per venire a Limbe, dove un’ ulteriore selezione sceglierà i 14 fortunati che rappresenteranno il Camerun alla coppa del mondo di inter campus.
Case di ogni dimensione e di ogni materiale: dalla monocamera in terra e fango, capace di ospitare 9, si, si, leggi bene, 9 persone, illuminata da una sola lampada a petrolio, senza alcuna finestra, con la parete coperta da una serie di sacchi di farina, alla casa in mattoni vera e propria, composta addirittura da tre camere, divise da teli di stoffa, in grado di ospitare, direi comodamente, sette figli e i genitori (mi ricorda qualcosa…). Ma quella che mi ha colpito di più…be’, no, non ce ne’ una sola ad avermi colpito. Anzi, direi, caro mio, che tutte mi hanno colpito allo stesso modo. Quella in fondo a quella infinita discesa buissima, con max che si lamentava ad ogni pesante e goffo passo,;
quella che ospitava 8 bambini accuditi dalla sola nonna, vedova, senza figlio e nuora falciati dall’ AIDS, o sida come si dice qui;
quella nel villaggio vicino, con le gabbie per i polli ad adornare il soggiorno (unica stanza, oltre a quella ricavata tirando un telo in soggiorno ove tutta la famiglia, nonni compresi dormivano;
quella senza finestre e spiragli di luce, all’ingresso della quale son stato accolto da una bimba che per salutarmi mi ha abbracciato e poi mi ha preso per mano per accompagnarmi dentro;
o quell’altra…te lo avevo detto che tutte mi avevano colpito.
E oltre alle case la cosa che mi ha letteralmente folgorato son state le persone in esse contenute: bambini orfani, madri vedove, mariti fuggiti, famiglie ricostruite, zii con sulle spalle la propria e la famiglia del fratello, nonne ritornate madri per la scomparsa della propria figlia e del marito, nonni vedovi con a carico nipoti piccoli e grandi…una varietà di casi umani inimmaginabile, per me, fino a prima di questo viaggio. Già, perché se ieri ero a zonzo per baffousame, l’altro ieri la protagonista del mio girovagare è stata Yaoundè e i suoi villaggi vicini, e anche li le storie che la città mi ha raccontato non son state certo migliori: Richard, orfano, accudito da zio e moglie, Mamouda cresciuto dal solo padre costretto a svolgere oggi questo e domani quel lavoro per cercare di portare a casa ai figli, non c’è mica solo Mamouda, qualcosa da mangiare, o Ya-Ya, ultimo di una stirpe di 9, orfano di padre, con madre disoccupata, i fratelli più grandi in carcere o ormai prossimi ad entrarvici e la strada come unica maestra, poiché la scuola è troppo costosa…o almeno lo era: con una donazione di 150 euro abbiamo garantito al bambino l’iscrizione a scuola per il prossimo anno scolastico.
O ancora quei bimbi in quel villaggio fuori dal tempo a soli 30 km fuori dalla capitale. Un villaggetto autosufficiente, nel senso che coltivano il mais che poi sfruttano per fare farina o altro, allevano maiali e polli, coltivano pomodori, patate, manioca e tutto secondo un sistema realmente socialista. Non vi è proprietà privata: i polli non appartengono ad una persona, così come i maiali o i campi coltivati. Tutto è del villaggio e i polli o il mais o tutto ciò che producono in eccesso e che vene venduto in città non fruttano soldi ad una persona, ma beni per il villaggio intero. E qui, all’ingresso di questo villaggio anacronistico, un bimbo, vedendomi, ha sgranato gli occhi come avesse visto un alieno. Mi ha seguito da lontano, intimorito, mi ha studiato e quando io, sorridendo, gli ho porto la mano, lui, lentamente, anch’egli sorridendo, mi si è avvicinato, mi ha sfiorato ed è scappato via, nascondendosi poi dietro il fratello più grande. Al sicuro, dietro la schiena del fratellone, che avrà avuto sei anni, sbirciava le mie reazioni, i miei movimenti, come fossi una cosa da lui mai vista ne’ immaginata, una cosa sconosciuta, diversissima da lui e da tutti coloro che invece li son ben familiari.
Tanti bimbi mi guardano come fossi un cane rizzatosi in piedi ed in grado di comportarsi come i suoi simili, umani; molti, vedendomi urlano “le blanche, le blanche”, o “nassara” indicandomi ed inseguendomi, col desiderio di toccarmi, ma con il terrore di farlo; molti altri invece mi salutano, sorridono, mi chiamano aspettandosi da me semplicemente un gesto, un sorriso, sempre loro donato.
Incredibile, davvero. Tutte le volte che vengo in Africa e vado in posti un po’ dispersi, le reazioni dei bimbi son le stesse, di stupore, meraviglia. E tali reazioni mi lascian sempre basito: “Cazzo, sono umano come voi. Ho solo un colore più pallido…

E oggi? Quel viaggio interminabile da Baffousame a Limbe’, attraverso montagne, altipiani, pini e fresco? L’avresti mai immaginato? Nel cuore dell’africa, all’altezza dell’equatore, pini e abeti…villaggi a ripetizione lungo la strada e foresta di alta montagna. Da impazzire…grazie inter

Ma non finisce certo qui.
E’ trascorso un anno, anzi, qualcosa meno (oggi è il 18 febbraio 2010) e rieccomi qui, in Camerun. La coppa del mondo è ormai in archivio, uno splendido ricordo, ma il progetto va avanti e così rieccomi nella terra dei leoni, questa volta con Robi e questa volta in una zona mai vista da nessun allenatore inter: Garoua, nella regione del nord. Al termine del viaggio che ci ha condotti fin quassù ho capito perché nessuno mai vi aveva messo piede: 15 ore di treno e sei ore di bus!!! Un’odissea. Una grandiosa, bellissima odissea. Il treno che correva prima attraverso il verde delle regioni centrali, che piano piano lascia il posto all’altopiano dell’ adamhoa, che diviene infine pianura secca, calda, savana, africa…vera africa. Uno spettacolo mai visto e mai immaginato prima. Sensazioni incredibili e cervello che si intasa di pensieri, riflessioni, difficili da far fluire attraverso questi tasti. Ma ci proverò. Iniziando con della semplice cronaca.
Già solo il viaggio meriterebbe un libro per essere raccontato nella sua completezza: arrivati alla stazione di Yaoundè veniamo assaliti da migliaia di persone con valige, sacchetti, zaini in spalla, trascinati per mano, in testa…una bolgia dantesca, completata da odori, colori e suoni affascinanti per noi nassara. A bocca aperta andiamo a prendere posto nel nostro scompartimento, con 4 cuccette, strette, ma comode. Ma chi si interessa inizialmente delle cuccette? Affascinati da tutta quell’ Africa li, fuori dal finestrino, passiamo le prime due ore attaccati al vetro per cogliere ogni angolo di mondo che ci viene propinato: baracche di legno ammassate lungo i binari, bambini in corsa dietro il treno, mani che si scuotono e sorrisi che si accendono al passaggio di questo strano, rumoroso, mezzo ferroso, grande, incredibile modernità; man, mano poi che la città viene lasciata alle spalle, la foresta pluviale camerunense prende il sopravvento davanti ai nostri occhi, illuminata da una splendente, seppur minima, luna e da migliaia di puntini stellati. La stanchezza ben presto prende il sopravvento e, nonostante il caldo soffocante, in breve ci ritroviamo tutti orizzontali, ma pur sempre con gli occhi fissi all’esterno, stupefatti dal paesaggio e dagli immensi mercati che ci si offrono d’innanzi ad ogni stazione. Già, perché non appena il treno rallenta e si ferma, sulla banchina appaiono venditori di ogni merce, pronti a soddisfare le tue esigenze: manioca battuta, banane, mandarini, ananas, avocadi, manghi, planten…di tutto e di più di viene offerto. Veri e proprio bar in movimento e a cielo aperto.
Con le prime luci dell’alba arriva, finalmente anche una brezza fresca che ci permette di respirare e di riaprire gli occhi non più grondando sudore, pronti per la prima colazione: caffè e croissant e fuori dal finestrino un paesaggio che si è ancora modificato. Non più il verde e l’oppressione di piante di mille e più specie a stretto contatto, ma immense pianure verdi e giallastre, interrotte da alberi e zone rigogliose: la savana. Con questo scenografia di contorno scendiamo intorno alle 10 alla stazione di Ngaundere, per dirigerci alla gare routiere per prendere il car per garouà; trovato il nostro con facilità, tra urla, musica, animali e altri mille e più venditori prendiamo posto al suo interno, ancora increduli per ciò che stiamo vivendo: su di un bus, con altre 28 (si, si 28+noi 3 fanno 31 persone su di un pulmino che in italia ne conterrebbe al massimo 16) persone ed in un posto del quale non conoscevamo nemmeno l’esistenza fino a un mese prima!!! Inimmaginabile.
Dentro quel trabiccolo di ferro tra soste, due ruote bucate, venditori, villaggi, trascorriamo 6 ore, per coprire 278 km e arrivare, alfine alla nostra meta: la procure di garouà, un posto nella regione del nord del camerun, famoso per il caldo e il sole distruttore. Ma che io imparerò ad adorare!!!
Qui, in questa cittadina, prende forma il nostro corso per 55 allenatori e con 40 bambini, che poi, magicamente, diventeranno 55, che tra colpi si sole e diarree (tutti problemi dei miei compagni, non del sottoscritto; io a fine giornata andavo anche a correre, mica pizza e fichi.), porta un po’ della metodologia del nostro settore giovanile anche in questa zona. E qui, oltretutto, abbiamo modo di visitare due mercati puramente africani (bancarelle di ogni genere, con ogni cosa in vendita, con odori fortissimi, musiche, sorrisi ed immensa curiosità nei confronti di questi strani, sconosciuti esseri dalla pelle chiara) e un parco ove, seppur da lontano, scorgiamo ippopotami e scimmie. Sempre qui cerco sollievo dal caldo tuffandomi in acqua, con ancora le malauguranti parole di Nicoletta nella testa (“non vi azzardate a fare il bagno in acqua dolce: la bilarzia è sempre in agguato”…gratt, gratt!!!), ma con i miei amici a reclamarmi per giocare con loro. Non potevo resistere.
5 giorni a 40 gradi, tra corso e campo, tra corse nella sabbia e serate troppo velocemente volte al termine (aiutate dalla noarcolessia del mio compagno di viaggio), tra versi di natura fuori dalla porta nella notte e migliaia di occhi puntati addosso per il nostro stato di diversi, tra l’estasi suprema, unica, capace di darmi solo inter campus e pensieri, riflessioni sulla vita, mia e generale, che solo queste realtà sono in grado di donarmi.
Che meraviglia!!! Questa è la mia vita! Questo è ciò per cui son nato. Fatemelo fare!!!

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