venerdì 19 gennaio 2018

L'angolo dell'allenatore

Se penso alla prima volta che ho messo piede su questo campo del mondo con l'avvio del nuovo progetto Iran, dopo la chiusura nel 2009 della vecchia partnership che ci portava in terra persiana, non posso che essere soddisfatto dei progressi fatti dai nostri allenatori in questo poco tempo: dalle mega sessioni generali con ottanta bambini in campo contemporaneamente, gestiti da un unico mister, siamo già passati a "mini" gruppi di poco meno quaranta elementi...andando avanti di questo passo entro un anno riesco a raggiungere l'obiettivo! Inoltre dal distacco dal bambino tipico dei precedenti allenamenti, siamo passati oggi ad una partecipazione, seppur parziale, ma sincera, reale, del mister stesso alla seduta (ciò non significa che il mister gioca. Partecipa, ossia è dentro la seduta, segue i bambini, li corregge, li sostiene, li incita, sorride e si diverte con loro), con "addirittura" accenni di sorrisi e di incoraggiamenti, pacche sulle spalle e applausi nel corso dell'esercizio, traguardo questo piuttosto importante da raggiungere, in una realtà come questa.
In una realtà come questa, o ovunque, Italia compresa? Già, perché anche nella mia di realtà queste cose, questi elementi che ritengo fondamentali per dirsi veramente allenatori di un settore giovanile, di una pre agonistica, tanto più dilettante, latitano, se non proprio mancano;  anche quando in campo scendono ragazzi giovani, che muovono i primi passi nel mondo dell'allenamento, raramente sento passione, divertimento, "goduria" nell'aria: facce serie, richiami, braccia conserte, allenamenti a zero all'ora noiosissimi e senza alcun insegnamento, se non quello naturale, oserei dire scontato, legato alla ripetizione del gesto e alla auto correzione, sicuramente parte importante nella crescita del bambino. E la cosa mi lascia perplesso, soprattutto quando sono i giovani a comportarsi in questo modo: che le loro esercitazioni siano un po' "campate per aria", che i loro allenamenti propongano esercizi slegati tra loro poco mi importa, ma che non ci sia passione, divertimento, fame di calcio no, non riesco propri a capirlo. Stare in campo con i bimbi è, dopo il giocare, la cosa che più mi diverte al mondo (se escludo Anna), quindi faccio molta fatica a comprendere un ragazzo che spiega l'esercizio al suo gruppo con le braccia conserte, che durante il gioco non "gasa" i suoi giocatori, non partecipa al divertimento, non perde la cognizione del tempo, perché troppo coinvolto nella seduta. E un po' mi sono stancato di correggerli, di cercare di mostrar loro questo fondamentale aspetto dell'apprendimento, ossia il divertimento: se uno non ha dentro questo cose, penso ogni tanto, non posso trasmettergliele. La passione non si insegna. Credo. Se ogni volta che c'è un impegno che si accavalla all'allenamento, questi mettono in secondo piano il campo e i bambini, cosa posso loro trasmettere? Se ogni volta che c'è da fare un "sacrificio" (sacrificio è quello che fa chi si alza alle 5 per andare tutti i giorni a svolgere un lavoro che odia, non per andare in campo) per riuscire a fare una seduta, una esperienza "tecnica" in più, questi o mi chiedono il corrispettivo compenso, o rifiutano, adducendo mille scuse, sicuramente plausibili, io cosa posso condividere con loro? Se ogni volta che...bah, basta. Sarò ormai vecchio e lamentoso. Nel Mondo e con alcuni allenatori Inter Campus qualcosa cambia, quindi, come dicono in Chiapas, la lucha sigue.

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