venerdì 26 gennaio 2018

In conclusione...picchio de sisti.

Al termine di ogni viaggio, ancora oggi, dopo tanti anni, mi viene difficile essere oggettivo e rivedere i giorni di trasferta, gli allenamenti sul campo, il corso con gli allenatori, in maniera oggettiva, con occhio critico, per meglio capire cosa non è andato per il verso giusto e poter così migliorare l'intervento e portare a sempre maggior crescita i nostri Paesi; le emozioni vissute, il contatto con mondi, realtà, spesso molto distanti dalla mia, velano i miei occhi, limitano la mia osservazione a ritroso, e devo quindi lasciar trascorrere un po' di tempo per riuscire veramente a ripercorrere il "film della missione" e capire l'effettiva efficacia della stessa, il reale valore dell'intervento e trovare così punti da migliorare, elementi su cui intervenire tra sei mesi, nella prossima missione. E l'Iran, certo, non ha fatto eccezione. Anzi. Una realtà così diversa dalla mia, un paese così affascinante, così ricco di storia millenaria che scorre al fianco della storia più recente che ne caratterizza la forma odierna, il "vestito" che oggi indossa; un paese così ricco di tradizioni, di usi, costumi distanti, diversi, diversissimi, da quelli di "casa mia"; un paese con una lingua così complessa che rende difficile, se non impossibile, ogni forma di comunicazione verbale semplice, normale, fluida; un paese...insomma, certo l'antica Persia non poteva essere eccezione. E così eccomi oggi a rivedere un po' le cose, attraverso le fotografie di Franco, la relazione di Robi, i confronti telefonici con Max, già impegnato in Angola in un'altra missione, per rendermi conto che il progetto sta correndo sui giusti binari e che la nostra presenza su quel campo del mondo sta portando diversi vantaggi ai nostri bimbi, ai nostri "profughi", che senza "Popli", l'associazione con cui lavoriamo, non potrebbero andare a scuola, non potrebbero essere assistiti dal punto di vista sanitario, e che senza la maglia dell'inter e i suoi allenatori non potrebbero giocare, divertirsi e crescere insieme a bimbi iraniani, altrimenti lontani, distanti da loro. Certo, abbiamo ancora un sacco di strada da fare e non è difficile decidere già ora i temi da trattare a giugno, al nostro ritorno, con i nostri Hadi e Mohse, o come diavolo si chiama (poverino, non ricordo mai il suo nome e da vero milanese imbruttito uso nomignoli per chiamarlo..."grande, grandissimo"), ma il primo passo di questo lungo cammino è stato fatto egregiamente, quindi...Khoda hafez, Iran.

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