venerdì 1 dicembre 2017

Ritorno a Cuba

RITORNO A CUBA
Il volo scivola via abbastanza tranquillo, nonostante qualche inquietante balletto fra le nuvole: l’upgrade in economy plus ha fatto la differenza e le dieci ore lassù in cielo, seduto comodo in poltrona, con ampio spazio per le mie corte gambe e la possibilità di sdraiarmi quasi a 180 gradi, passano apparentemente più veloci e sicuramente più comodamente. Il non aver fatto fila al controllo passaporti ha reso ancor più incredibilmente fortunata fin qui la lunga trasferta (ricordo delle volte in cui siamo rimasti due ore in fila per entrare nel paese e 40 minuti è sempre stato il minimo indispensabile per farsi mettere il timbro dell’immigrazione), ma la normalità del tempo infinitamente dilatato di Cuba ci attende dietro l’angolo, o più precisamente oltre il controllo al metal detector, ossia al nastro bagagli: un’ora ad osservare valigie sempre diverse passare sotto il nostro naso, in attesa di scorgere la nostra. O meglio, la loro, perché io non cambio la mia strategia e ho sempre con me il mio fedele zaino, bagaglio a mano, appunto per evitare queste attese snervanti dopo viaggi così lunghi. Quando finalmente anche i nostri bagagli arrivano, un’altra coda (questo è il paese delle code, lo dico da sempre) ci attende, quella della dogana: in aereo hanno distribuito solo pochi formulari da compilare e in aeroporto non se ne trovano più, per cui molti viaggiatori appena atterrati ne sono sprovvisti e rimangono fermi in fila in attesa di non si sa bene cosa, visto che senza il foglietto compilato non si esce, impedendoci di uscire. Tra spinte e scavalcamenti vari delle persone ferme, degni solo di noi italiani, con il nostro raro bel formulario in mano dopo altro tempo buttato, eccoci fuori: aria fresca, calda, ma piacevolissima, una splendida luna a forma di sorriso dello stregatto ci danno il benvenuto ancora una volta a l’Havana! Ancora una volta (forse l’ultima per me dopo tanti anni) rieccomi in questo posto che tanto mi affascina e che tante contraddizioni porta con se’, ora più che mai: il sogno socialista, gli slogan per la patria e il pueblo unito da una parte, le orde di turisti armati di dollari e capitalismo dall’altra. Un sogno infranto, una illusione dispersa. 

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