sabato 24 giugno 2017

Ritorno in Uganda

WELCOME BACK, MZUNGO
A soli tre mesi di distanza mi ritrovo seduto sulla ormai ma seggiola, nella ormai mia capanna, nell’ormai mio african village, a svuotare su questo foglio di carta virtuale la somma di esperienze di questa nuova avventura ugandese. tre mesi e non i canonici sei son trascorsi dall’ultima missione, perché…be’, non posso scriverlo, altrimenti altri richiami ufficiali, altre censure pioverebbero sul mio blog. Va bene così, diciamo. Tre mesi in cui, rileggendo ciò che ho scritto a Marzo, deve essere successo qualcosa in questo paese, perché gli standard quasi europei dell’aeroporto di cui narravo sono ormai uno sbiadito ricordo, sostituito da una più cruda e incasinata realtà: appena sbarcati dall’aereo, infatti, una fila sconclusionata, senza un apparente inizio, ma soprattutto senza un’unica fine, ci ha accolto al controllo passaporti, dove trascorriamo quasi un’ora in attesa di pagare il visto da 50$ che ci permette di entrare nel paese; sopravvissuti a questa prima prova, eccoci però al vero test di sopravvivenza: il recupero bagagli! Una calca “spingente” soggiorna nei pressi del nastro, quasi impedendo la vista delle valige che su di esso scorrono lentamente e quando finalmente riusciamo a tornare in possesso delle nostre borse, un’altra disordinata fila ci si para d’innanzi! Gente che spinge a destra, gente che spinge a sinistra, il carrellino di quello dietro che continua a colpirmi le caviglie stile difensore di terza categoria in marcatura sulla punta, su calcio d’angolo e tutto per dimostrare, attraverso la ricevuta che ti lasciano al momento del check in, che il bagaglio che hai con te è effettivamente tuo e poterlo così, in seguito, passare sotto la macchina a raggi x per fartelo controllare ed essere definitivamente libero. Non contento però di tutto il casino vissuto fino a quel punto, decido saggiamente di dimenticare la mia borsa con il lap top alla macchina a raggi x e, soprattutto, penso bene di ricordarmene solo una volta fuori, mentre stringo la mano al nostro driver, mandatoci dal Cuamm per il trasferimento all’African village. “cazzo, il mio mac”, urlo, e con scatto di Boltiana memoria mi fiondo nuovamente nella hall dell’aeroporto, dove però vengo malamente fermato, giustamente aggiungerei, dalla sicurezza, che un po’ alterata per il mio tentativo di irruzione, mi spinge verso altri controlli, da cui devo necessariamente passare per ri-entrare. Passato questo piccolo varco, però, mi imbatto in un secondo controllo, che, anche qui giustamente, mi impedisce di tornare nello stanzone dove si riconsegnano i bagagli. La fortuna è dalla mia e i due addetti alla sicurezza rimangono colpiti dalla mia polo Inter, così quando spiego loro il perché io l’abbia indosso, mi fanno lasciare lì zaino e documenti per tornare ai nastri a recuperare il mio computer. “I get it”, dico loro sorridendo. “Uebale sebo”. Scatenando una loro risata, guadagno, finalmente al completo, l’uscita, per salire in macchina e trascorrere altre tre infinite e noiosissime ore nel traffico di Entebbe e Kampala, prima di raggiungere la tanto agognata meta. Sono distrutto, ho un sonno micidiale, ma sono le 17:30, quindi…che faccio? Fuori, ci si allena. Una bella sudata e torno come nuovo…o quasi, pronto, ora, per un sonno rifocillante. Domani si inizia!

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