giovedì 16 marzo 2017

A Gerusalemme

JERUSALEM
Oggi non è giorno di allenamento a Gerusalemme per i nostri bambini, ma i mister sono a disposizione, per cui, in accordo con Yasha, ci muoviamo verso la città Santa per incontrarli tutti e fare un po’ con loro il punto della situazione di questo progetto tanto affascinante, quanto incredibilmente complesso e incasinato! Il mio obiettivo è quello di sentire loro, di ascoltare i loro racconti degli allenamenti, i loro resoconti delle esercitazioni proposte, per partire da ciò che emerge dai loro discorsi e approfondire quei temi tecnici che qui credo siano ancora un po’ di la da venire. La discussione in aula però mi sfugge di mano, scorre senza più il mio totale controllo e le problematiche che emergono sono si tecniche, da campo, ma derivano, hanno la loro origine, in qualcosa che viene prima del campo, prima della seduta di allenamento in senso stretto: problemi che dipendono dalle differenze che noi cerchiamo di appianare, di cancellare con l’allenamento, con quella palla, ma che purtroppo, in quanto tali, rendono difficile lo sviluppo, la realizzazione di ciò che abbiamo in mente. I bimbi delle due parti sono diversi, diversissimi tra loro, anche solo dal punto di vista motorio e questa differenza crea un ulteriore solco tra loro, una ulteriore differenza che li allontana: colui che è bravo, abile a muoversi e quindi a sfruttare questo movimento con una palla tra i piedi, non vuole giocare con quell’altro che invece tanto abile non è, non vuole passargli la palla, non vuole sentirsi costretto nella stessa squadra. Normale, normalissimo in qualunque contesto, anche da noi in Italia, ma qui genera ulteriori tensioni, ulteriori ostacoli al nostro progetto, alla nostra idea di unificazione, di unione, di appiattimento delle differenze, perché porta alla costruzione di altre barriere, di altri muri, che separano questi bambini, già sufficientemente divisi da questioni più grandi. E quindi? Che cacchio facciamo? Son convinto che l’allenamento sia lo strumento ideale per questo nostro obiettivo, ma bisogna riuscire ad usare questo strumento nel miglior modo, con la miglior conoscenza, consapevolezza e capacità possibile, per cui c’è bisogno ora più che mai d alzare il livello dei nostri mister. Perché sono loro i veri protagonisti, coloro che realmente realizzano ciò che noi diciamo di fare: io sono qui venti giorni l’anno, niente, proprio niente, rispetto al tempo che trascorrono loro con i nostri bambini, quindi sono loro che devono saper organizzare alla perfezione i gruppi, bilanciando l’una e l’altra parte e gestendo al meglio le abilità ai loro interni; sono loro che devono riuscire a sviluppare esercitazioni ludiche, con obiettivi più motori che tecnici, per coinvolgere, divertire e colmare allo stesso tempo le grandi lacune dei più; sono loro che devono saper intervenire al primo accenno di “scontro”, adottando l’intervento adatto per riuscire ad arrivare alla testa, al cuore, di tutti i propri giocatori. Qui più che da altre parti il mister è fondamentale. E i nostri lo sono, sono bravi e ultra dedicati alla causa, ma ancora con noi non sono riusciti ad affrontare quei temi che anche questa volta ho dovuto tralasciare, soppiantati da temi diversi, importanti, ma meno pratici, da campo. Dobbiamo quindi aiutarli a crescere, dobbiamo trovare il tempo, il modo, di lasciar fuori dalla porta dell’aula i problemi più grandi di noi, per concentrarci sul campo e attraverso esso provare a risolvere, o per lo meno ad affrontare, tutti gli ostacoli che incontriamo sul nostro terreno. E non è mica facile…

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