venerdì 22 aprile 2016

Jalijulia

JALIJULIA
Mai vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso, soprattutto quando l’orso vive da queste parti! Dopo le speranze di ieri, oggi abbiamo brutalmente dovuto fare i conti con la realtà e ci siamo scontrati con l’assoluta negatività, la lontananza, l’inettitudine di Hilmi, il nostro allenatore locale. Ma andiamo per ordine: dopo il classico appuntamento mattutino sul lungomare di Tel Aviv per la corsa col prof e un tuffo ristoratore,  ci muoviamo come ieri in macchina con Yasha, direzione Jalijulia, dove abbiamo in programma una doppia seduta di allenamento, preceduta da un incontro formativo con Hilmi, per cercare di capire come si è mosso in campo in questo anno di assenza e per introdurre anche lui al nostro metodo di lavoro, il nostro metodo di allenamento. Prima però è d’obbligo la tappa alla torrefazione di Ehab, una gran persona locale, amica di inter campus, che ci aiuta dall’inizio del progetto, che produce caffè per conto di Magnelli (http://www.magnellicaffe.it/) e dalla quale tutte le volte passiamo per un buonissimo caffè, ma personalmente anche per capire, conoscere qualcosa in più su questo frutto. Questa volta ho imparato a riconoscere il seme di robusta da quello di arabica, per poi addentrarmi nel mondo delle miscele grazie a una approfondita lezione sui diversi gusti delle diverse varietà e sul loro uso nelle miscele. Interessantissimo. E soprattutto bellissimo essere in grado di distinguere così precisamente i gusti, i sapori, sfruttando tecniche, metodi precisi, che ti permettono di godere pienamente di quella bevanda da noi troppo spesso bevuta velocemente e senza cura alcuna. Ogni volta con Ehab per me è una goduria. Purtroppo dopo questo bellissimo momento, l’illusione di trasferirmi al campo per iniziare il lavoro sulla cellula di Jalijulia si è trasformata in una specie di farsa: Hilmi, l’allenatore locale che si prende cura da solo, dall’inizio del progetto, in loco dei nostri 40 bambini, deve aver battuto la testa violentemente, perché fin dal primo saluto mi appare un altro, un individuo molto diverso da quello lasciato dodici mesi fa; negativo, mal disposto nei nostri confronti, continuamente alla ricerca della polemica, della provocazione, interessato solo ai soldi e a tutto ciò che nulla ha a che vedere con Inter Campus. Insomma, un altro rispetto a quello che ricordavo. Certo, anche prima ogni due minuti ti chiedeva una maglia, uno stipendio più alto, questa o quella cosa, ma se non altro sembrava ti ascoltasse, pareva coinvolto nel nostro progetto, vicino ai bambini, invece…un coglione! Lui e io, che credevo di conoscerlo e mi fidavo di lui. Un coglione che per di più sta lavorando malissimo, tanto che invece di avere due gruppi da 20 bambini con cui lavorare, ci ritroviamo in campo con 12 bimbetti tra i 9 e i 12 anni nel primo gruppo e…nessuno nel secondo. Alla richiesta di spiegazioni inventa cose che sono evidentemente delle falsità, tirando in ballo un torneo e altri problemi (noi siamo qui in questo giorno, perché è uno dei due suoi giorni normali di allenamento, tra l’altro), ma la cosa peggiore è stata che alla mia richiesta di vedere un suo allenamento, dopo un suo rifiuto, si è mosso in campo con impaccio, atteggiamento sempre negativo e distruttivo, manifestando quasi fastidio nei confronti dei bimbi costretti “nelle sue mani”. Al termine io e il prof decidiamo quindi di dedicarci per almeno mezz’ora a questi poveri dodici nanetti, proponendo loro l’esercitazione che abbiamo deciso di usare come test per confrontare tra loro le quattro cellule, con lo scopo di…farli ridere, farli divertire, farli correre e giocare, senza paura di sbagliare o di provare e finalmente ridono, corrono, saltano, pensano e si divertono! Finalmente sono parte di Inter Campus, finalmente giocano e crescono, non come durante lo scempio di Hilmi. Ma...Voglio dargli un altra chance, mi dico: gli propongo di osservare le nostre proposte, di concentrarsi sui bambini, sulle loro reazioni alle nostre indicazioni, sul nostro modo di interagire e di correggerli. Purtroppo il coglionazzo dopo dieci minuti sparisce dal campo, si allontana e non riappare più sul terreno di gioco. Al termine di tutto lo vado a cercare e l’unica cosa che è in grado di dirmi è che io sono vestito bene e vorrebbe anche lui avere le mie cose. Be’, caro mio, l’abito fa il monaco, ma l’abito te lo devi meritare e tu, ahimè, con quello che hai e stai combinando, più che un costume rotto, usato e puzzolente, certo non ti meriti. Co, cielo color porpora e il giorno che va concludendosi, lasciamo così la piccola cittadina araboisraeliana, portandoci via i kit e con la quasi certezza di aver ormai chiuso i rapporti con questa persona. Mi spiace, mi spiace un sacco per i bambini, ma non possiamo più lavorare con una persona di cui non ci fidiamo, in questo posto più che negli altri, per cui…bye, bye, Hilmi!

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