domenica 15 marzo 2015

Non di sola corsa...

NON DI SOLA CORSA VIVE L’UOMO…ANCHE DI ALLENAMENTI!
C’è sempre un po’ troppo casino sui campi di questa parte di mondo, con bambini israeliani e arabi che si riescono difficilmente a contenere, a organizzare, a mettere insieme per dar forma ad un vero allenamento. Gli uni per un motivo, gli altri per un altro, ma il risultato è sempre lo stesso: alla fine della seduta sono più stanco io di loro! Così è stato a Dar Istia, con 24 bambini palestinesi…in aumento incontrollato durante la seduta, ma così anche a Gerusalemme, sul campo di confine nella parte Est della città, quartiere Beet Safa’fa, dove 20 di una parte e 20 dell’altra…l’han fat su un rebelot!!! Con tutta la gente intorno che certo non ci aiutava, con le loro belle macchine fotografiche, le loro telecamere, il loro scarso interesse nei confronti dell’allenamento in se', ultra concentrati nel voler riprendere, immortalare quel momento, passando in mezzo al campo, fermando i bambini, calciando i palloni alle spalle del nostro spazio! Insomma, un gran macello. Di quelli che piacciono a me...E per riuscire a mantenere alta l’attenzione dei bambini in un simile contesto caotico abbiamo dovuto fare i salti mortali, abbiamo dovuto dar fondo a tutte le nostre energie, mentali e fisiche, ma alla fine…ce l’abbiamo fatta! Con anche i 21km della mattina sul groppone! Grandissimi. Noi sicuramente, però certo questa cosa deve cambiare, da tutte le parti in Israele/Palestina, in ognuno dei 4 campi coinvolti nel progetto (Dar Istia, Jaljulia, sud Tel Aviv e ora Gerusalemme): ci vorrà tempo, ci vorrà continuità nelle presenze dei bambini alle sedute, così come continuità degli allenatori, ma certo questo caos diffuso va ridotto fino a farlo sparire! Se no non serviamo a nulla. Con tutte le spiegazioni, le motivazioni del caso validissime, verissime, ma dalla prossima visita spero di riuscire a toccare con mano dei miglioramenti. Basta bimbi israeliani viziati che non rispondono ai tuoi richiami, o arabi che si inseguono per il campo per menarsi, fino a quando non intervieni; basta con i bambini sud sudanesi o filippini o cileni che siano che entrano in campo e iniziano a sparare per aria palloni, per poi inseguirli, prenderli al volo e picchiarsi per contendersi il turno successivo; basta con bimbi di Gerusalemme che prima piangono perché non li metti in porta, poi piangono perché giocano in una squadra che non è quella che vorrebbero e poi piangono ancora perché perdono. Basta. Anche il torneo questa volta è stato il regno del caos, cacchio: c’erano tutti, l’ambasciatore italiano in Israele, Noa, la televisione, giornalisti locali…non mancava nessuno sul campo di Jaljulia per il nostro torneo, che unisce sullo stesso campo bambini israeliani, bambini arabo-israeliani, bambini palestinesi e bambini figli di immigrati dei quartieri poveri di Tel-Aviv. Non mancava nessuno, se non…un po’ di collaborazione, per controllare i bambini e mettere un po’ di ordine in campo, o meglio fuori, dove stavano le squadre in attesa!!! Per la prima volta da quando diamo forma a questa giornata, anche su questo campo c’è stato un gran casino. Certo, non che le altre volte sembrasse Wembley, ma questa volta abbiamo proprio toppato. Tutto è filato via liscio, i bambini si sono divertiti, chi doveva far foto ha avuto a disposizione materiale penso unico, così come chi voleva filmare, però noi, gli allenatori, non siamo molto soddisfatti. Vero che gestire in due 100 bambini su tre campi era dura, ma non mi piacciono le scuse e la realtà è che c’era troppa confusione.
E perché tutto questo? Perché nel progetto in Israele-Palestina è sempre tutto così complicato? Semplice, perché…siamo sempre all’inizio da queste parti. Inizi, proponi un mini corso, lasci agli allenatori importanti indicazioni per le loro sedute e dopo una settimana questi smettono di allenare perché accusati di essere collaborazionisti, o perché vorrebbero essere pagati, o perché non vogliono più far parte di un progetto con “l’altra parte” coinvolta. E allora si cambia, si torna, si riparte, fino al prossimo cambiamento. Se a questa situazione di continua precarietà si aggiunge il fatto che gli allenatori scelti non solo non sono allenatori, ma non hanno essi stessi idea di cosa voglia dire organizzare, educare attraverso uno sport, dare delle regole di comportamento, mettere dei paletti, farsi valere, rispettare, le somme sono presto tirate. E allora li vedi calciare il pallone in aria a caso, farsi rincorrere senza senso, li osservi mentre guardano un conflitto in atto sotto i propri occhi sperando in un loro intervento che non arriverà mai…insomma, c’è da lavorare. Le realtà da unire in campo ci sono, il progetto di integrazione attraverso il calcio può realizzarsi, ma ora bisogna capire che non siamo solo “partitelle dell’amicizia” cui dar forma una volta ogni tanto, incontri sporadici su di un campo (certo, da queste parti è già tanto, ma cazzo si può far meglio!!!), ma andiamo ben oltre. Yasha, il nostro amico-referente locale, lo sa, lo ha capito e si è buttato in campo apposta per cercare di portare avanti le nostre idee in nostra assenza, ma ora deve circondarsi di gente che sia in grado di seguirlo, di seguirci. E allora, cacchio, ci sarebbe bisogno di fermarsi qui un mese per dare il via per bene a tutto!!! Ma come si fa? Ci sono altri 28 Paesi, ci sono altri 28 campi nel mondo Inter Campus…

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