lunedì 29 ottobre 2012

Uganda: 24 ottobre


Ottobre 24

Fare allenamento con un persistente profumo di jackfruit nell'aria, nel campo verde smeraldo di Nagallama, non e' roba di tutti i giorni! Avere poi intorno centinaia di curiosi, per lo più vestiti di neroazzurro, ed essere accompagnato nel lavoro da risate e applausi ogni volta che spizzico qualche parola in luganda per farmi meglio intendere dai bambini, mi da una carica indicibile!
Grandi, grandi grandi! 
Esser poi accompagnato in tutto questo da un grande come il Pihardi, oltreché dal sempre presente Max, mi fa innamorare ogni giorno di più di questo lavoro, che pur mi costringe spesso lontano da Silvia.
Uebalegno sebo, gnabo! Uelaba!

La mattinata inizia un po' prima oggi: tanta carne al fuoco e l'assenza di Max in aula nel suo fondamentale ruolo di supporto nella traduzione, malessere del compagno quindi a casa a riposare, mi spingono a chiedere di anticipare un po' i tempi, in modo da avere tutto il tempo per stare con gli allenatori e con i bambini sul campo e portare a termine nel migliore dei modi il lavoro. L'esperimento del laboratorio e' riuscitissimo e anche oggi le due ore in aula sono servite più di mille altri incontri: accompagnare gli allenatori nella "costruzione" dell'allenamento passo dopo passo, partendo dalla scelta dell'obiettivo, per poi svilupparlo attraverso il nostro metodo, definendo insieme le esercitazioni da proporre e testandole insieme sul campo tra di noi, si e' rivelata una scelta vincente, da riproporre. Certamente non e' un tipo di corso che si può presentare ovunque, in tutti i 24 paesi neroazzurri: c'e' bisogno di un buon livello di base degli allenatori, ma credo che in altri paesi africani questa modalità verrà replicata. Anzi, credo proprio che per questa terra, questo sia proprio l'approccio ideale, viste le caratteristiche e l'indole delle genti da queste parti. Si vedrà. Nel frattempo, tornati in campo dopo la parte in aula, ci attendono i nostri bambini, già pronti ed ordinatamente schierati a bordo campo, in attesa di un nostro cenno per l'allenamento; nel mio gruppo, come anche in quello di Robi, ci sono tante bimbe e le loro evidenti difficoltà non solo tecniche, limitano le intensità delle proposte, che stentano a prendere il volo a causa dei ripetuti errori, ma va bene anche così: in fin dei conti questi sono i giocatori a disposizione, quindi ci si adatta. 
Il bello pero' arriva ora...la cerimonia! Come garba la cerimonia agli Africani! Scaletta del programma condivisa con tutti i presenti dal mastro cerimoniere, intervento di ringraziamento da parte di tutte le "autorità" presenti, al quale non riesco mai a sottrarmi, canti, inno nazionale, scenette dei bimbi per raccontare la storia ugandese nell'anno del cinquantenario dell'indipendenza...la cerimonia! La cosa prende sempre un sacco di tempo, durante il quale tutti i bambini presenti, si parla di "soli" trecento oggi, non fanno una smorfia, non vengono mai richiamati, restano sempre in ordine e seduti composti nel pratone verde, all'ombra del mango centenario; se lo stesso accadesse da noi, con bambini dai 4 ai 14 anni, come qui riuniti in cerchio, seduti ad ascoltare per più di un'ora, scoppierebbe in breve la rivoluzione tra grida, spintoni e richiami delle maestre. E così funziona anche in Camerun, o in Congo, o in Angola: ordinati e disciplinati, a prescindere dall'origine del bambino, che venga dalla strada, dal bush o dalla favela di Luanda. Quasi, quasi ce li porto i 2004 della Calva da queste parti...
Conclusa la cerimonia, si riparte: back to Kampala.

Back to Kampala...e mentre la macchina corre lungo la strada, lungo i 40 km che separano Mokono dalla capitale, fuori dal finestrino scorre un mondo, un mondo diversissimo dal mio, pieno di colori, di gente e di interrogativi. Lungo la strada, infatti, si snodano villaggi, le cui capanne di fango e paglia si ammassano a bordo pista, con alle spalle, poche decine di metri più in la, la macchia verde, intensa. della foresta; fuochi improvvisati che bruciano erba secca, manioca stesa a seccare al sole, frutti colti dagli alberi e messi in vendita su bancarelle improvvisate, riempiono l'aria di odori; gente seduta, sdraiata, al massimo presa da un lento e caracollato cammino, spunta qua e la, fuori da queste casette, con bimbi che corrono ed inseguono la nostra macchina, attrazione della giornata, poiché popolata da mzungo. Le domande di fronte a questo spettacolo sorgono naturali: cosa fanno? Come fanno a starsene tutto il giorno, tutti i giorni, qui? Qui significa in un punto lontano dalla città, con attorno null'altro che natura selvaggia e...la strada. Cosa fate qui? Come diavolo fate a crescere qui, bimbi? Come fate a sopravvivere? Certo, gli uomini racimoleranno qualche scellino con lavoretti improvvisati e coltiveranno la terra (qui tutti hanno un piccolo orticello da cui trarre qualche vantaggio), ma...cacchio, come fate a non impazzire? 
I miei occhi, quindi, cercano risposte osservando quanto scorre la fuori, senza mai arrivare ad una soluzione, ma...la domanda e' sinonimo di viaggio, perché costringe ad intraprendere un indagine per trovar risposta, quindi ben vengano le domande!

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