sabato 27 ottobre 2012

Uganda 23 ottobre


23 ottobre

"La differenza tra un turista in africa e un razzista? una settimana!"
Una frase  forte, capace di inorridire tanti perbenisti radical chic, che superficialmente odono, ma non ascoltano quanto vuol dire Angelo, mi pare si chiamasse così, cosa veramente intende; Angelo infatti non e' un pazzo nazista fuggito dalla Germania per instaurare in Uganda un quarto Reich, fondato su razzismo e segregazione razziale, ma un ragazzo, una volta ragazzo, che vive e lavora a Kampala da 14 anni, sposato con una ragazza locale e che ha a che fare quotidianamente con i ritmi, la voglia, la difficoltà a capire i nostri messaggi, la lentezza ad agire, tipica delle genti di questo continente. Ed a lui e' corso il mio pensiero oggi sul campo, quando durante la parte pratica con gli allenatori ci siamo incagliati nella spiegazione di un esercizio a mio modo di vedere facilissimo, ma che per loro e' risultato peggio della teoria della relatività di Einstein! E non c'e' stato verso: gira come vuoi la proposta, modificala, semplificala, proponila con le mani, guidala dall'inizio alla fine, nel momento in cui li lasci agire da soli, sbagliano. Clamorosamente sbagliano. E questo intoppo mi era già capitato altre volte: nel momento in cui non devono solo agire, ma devono pensare, scegliere ed agire, sbattono contro un muro di gomma invalicabile e non vanno più avanti. Ci sono quindi delle cose che per loro, a loro, proprio non sono adatte, non funzionano, le rifiutano categoricamente; certo, non si può far di tutta un'erba un fascio, si trova sempre "l'illuminato", quello più sveglio che capisce e prova a guidare gli altri, quasi sempre si trova, ma la maggioranza si scontra con certe richieste in cui si richiede un minimo di applicazione e non ne viene a capo. Il perché non so trovarlo, anche se credo fermamente che il ragazzo africano non capisce la mia richiesta non perché è scemo, ma perché non gliene frega niente di capire, perché è una richiesta lontana anni luce da ciò che a lui verrebbe in mente, perché è qualcosa che non gli appartiene, quindi nemmeno ci prova ad applicarsi e a trovare la soluzione. E lo stesso vale per i ristoranti o gli hotel nei quali ci siamo imbattuti fino ad oggi: posti "bianchi", lontani anni luce da ciò che usano, da ciò di cui hanno bisogno loro e quindi spesso "africanizzati", quindi mal gestiti, raffazzonati, messi li tanto per fare, per far contento il mzungo, non per propria volontà e se questi, il mzungo, non c'è e non mi obbliga a fare le cose giuste per portare avanti ristorante, albergo o locale che sia, tutto, in breve, va a rotoli.
In ogni caso vedere le difficoltà con cui uomini di trenta e passa anni affrontano esercitazioni dedicate a bambini fa comunque sorridere.
Riflessioni antropologiche a parte, oggi altra gran giornata, tra campo ed extra campo, insieme ai nostri amici Ugandesi, conclusa con delle gran ripetute, sempre grazie Silvio, lungo la strada fuori l'African Village, tra occhi curiosi nelle capannine e urla di incitamento, "bye mzungo", dei bimbi che incrociavo! Insomma, solito, mitico, spettacolo!

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