venerdì 8 febbraio 2019

Kribi come Varazze da piccolo

QUARANT’ANNI E NON SENTIRLI
Finito l’allenamento del pomeriggio invece di rientrare in hotel e pompare un po’ in stanza come tanto mi piace fare quando viaggio, quest’oggi abbiamo organizzato insieme a tutti gli allenatori una gita alla spiaggia di Kribi, in particolare alla spiaggia che c’è “in centro”, dotata di due porte per giocare a calcio 8<8 sulla sabbia. Salutati i bimbi, quindi, ci muoviamo in gruppo verso la strada per andare a giocare. Nemmeno il tempo di sbarcare dal pulmino (eravamo in 18 + Etienne, l’autista, in un furgoncino omologato per 9! Sembravamo i clown che escono dal maggiolino di Krusty) e la spiaggia, il tramonto, la palla da inseguire, quell’odore unico di iodio, riportano alla mente Varazze e le infinite partite con i cugini ai bagni torretti. Che spettacolo! Allora si iniziava a giocare alle 19, quando ormai le persone normali avevano abbandonato la spiaggia, e si andava avanti senza sosta fino a quando mamma o zio di turno non ci urlava per la centoventesima volta di piantarla e di salire a casa per la cena. I bagnini chiudevano lo stabilimento balneare con noi dentro, indefessi dietro il tango (allora era quella la palla), sempre con le stesse squadre (io, il Mighe, il Frek, contro i Dario, Michi, Nicola, una sfida infinita), sempre con la stessa inesauribile scimmia per il calcio. Ogni giorno andava così, a meno che non si andasse a giocare il torneo all’oratorio, o alla Crocetta, o al piccolo ranch a giocare. Ma un giorno senza calcio era un giorno non vissuto, non goduto, e fino a quando non siamo cresciuti e ci siamo persi, le mie estati erano scandite da gol, falli e dribbling di vario genere. Qui, oggi, a un paio d’anni di distanza, a un paio di migliaia di km più a sud, è stato come ritornare a Varazze. Niente mamma però a chiudere la partita: sulla spiaggia di oggi è stato il sole a sancire il triplice fischio, o meglio la sua discesa e la conseguente oscurità incombente, mai stato emozionare riassaporare la sabbia appiccicata per via del sudore su tutto il corpo, capelli compresi, la palla che rimbalzava in maniera imprevedibile, i piedi rosso fuoco al secondo tiro di collo pieno, le rovesciate improvvisate, la corsa affannosa per via dei piedi che affondano nella sabbia, insomma vivere di nuovo tutto come allora. Be’, dai, tutto, tutto no: io e Lore eravamo gli unici visi pallidi dei dintorni e l’attenzione, gli occhi, erano tutti per noi. Quando poi alla prima palla decente me la sono alzata e in mezza rovesciata l’ho catapultata in porta…be’, son volato mente e corpo alle mie estati giovanili, legate a me ieri come oggi da una sfera di cuoio magica. 40 anni? Ma davvero?


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