mercoledì 5 dicembre 2018

Le bambine cinesi


IN CAMPO
Mentre a Fuyang avevo con me il mitico Lu durante l’allenamento che traduceva ogni mia richiesta, spiegazione, correzione ai bambini, seguendomi tutto il tempo come ogni buon traduttore fa’ normalmente in campo (poverino: considerando quanto mi muovo in campo quel povero ragazzo in due allenamenti deve aver camminato più che negli ultimi sei mesi della sua vita), a Shanghai siamo rimasti senza “accompagnamento”, per cui mani, espressione del viso, dimostrazioni e qualche parola di inglese da loro conosciuta sono stati l’unico mezzo per comunicare con efficacia coi bambini delle due scuole dove lavoriamo. Ma essendo le nostre culture molto distanti, assolutamente diverse, il non verbale nostro e il loro non sono molto in linea e anche i gesti sembrano significare cose diverse, per cui…che difficoltà! Non volendo abbassare il ritmo e l’intensità della seduta, viste anche le enormi difficoltà nel rapportarsi al pallone di ciascun bimbo, ho cercato di semplificare al massimo ogni proposta e di rendere il tutto il più intuitivo possibile, per far si che fossero loro, direttamente, a capire cosa fare e a provare come fare, come eseguire, soddisfare la richiesta, ma…ho sottovalutato le difficoltà dei ragazzi, ahimè. O meglio, non ho considerato il fatto che, per lo meno per la mia esperienza accumulata negli anni in cina, i bimbi sono abituati a ricevere “ordini”, indicazioni molto chiare e dirette, senza grossi spazi per interpretare, per intuire appunto, per cui di fronte alle mie semplicissime richieste, che però chiedevano loro di partecipare attivamente con la testa all’esercizio per capirlo e risolverlo, il risultato iniziale è stato un grande gioco delle statue. Tutti fermi che mi guardavano come se fossi un alieno sceso da Marte! E più io mi muovevo ed eseguivo per loro l’esercizio, meno loro si muovevano, capivano e partecipavano: tante piccole statuine del presepe sul campo della scuola. Attimi di sconforto hanno quindi preso posto sul bel terreno di gioco a nostra disposizione prima che non trovassi il modo per farmi intendere: avendo individuato la ragazzina più sveglia di tutti (come sempre una bimba, c’è poco da fare, Anna mi insegna: hanno una marcia in più), mi sono concentrato su di lei per farne “la modella”, colei che avrebbe spiegato per me al gruppo il tutto e così a volte prendendola per mano tra le risate nascoste del gruppo, a volte accompagnandola nello spazio che volevo loro coprissero in guida, a volte semplicemente sorridendole e applaudendo ogni sua azione corretta, piano piano sono riuscito a conquistarla e farne la mia “traduttrice” personale, la mia assistente per tutta la seduta, rendendomi un po’ più semplice il lavoro e permettendomi di dar forma a tutti gli esercizi che avevo in mente per loro, portandomi così alla fine a raggiungere l’obiettivo: farle divertire e nel contempo insegnar loro qualcosa. Certo, non ho la certezza che il secondo obiettivo sia stato realmente raggiunto, ma aver potuto osservare come alcuni inizialmente conducessero sfruttando l’interno piede pur in guida rettilinea e al termine della progressione invece si impegnassero per realizzare questo gesto tecnico sfruttando la superficie per me più appropriata, da me suggerita, mi lascia ben sperare. Mentre per quanto riguarda il primo…be’, è la palla a far tutto: non ci si può non divertire quando si gioca con lei, quindi sorrisi, risate, esultanze varie le do’ abbastanza per scontate nel corso delle mie sedute, nel corso di un allenamento inter campus.
 


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