giovedì 14 giugno 2018

Filosofia spiccia

FILOSOFEGGIANDO IN CAMPO
Quando faccio allenamento su questi campi volo immediatamente con la mente a Milano, dai nostri bambini italiani con cui da anni gioco e da cui ricevo puntuali lamentele per la qualità del terreno di gioco, per il pallone troppo duro o troppo molle, per le scarpe troppo strette, o peggio ancora troppo vecchie, pur impeccabili, per, per e ancora per. Volo da loro per poi tornare ad osservare i bimbi con cui sono ora in campo, qui a Bakanja: campo di sabbia e terra rossa, con buche, pietre e dune qua e la, scarpe…per venire al campo, non certo per giocare! Avendone un solo paio vanno tenute da conto e di certo non le rovinano calciando un pallone; oltretutto una palla sgangherata, durissima, rossa di sabbia, calciata con tale forza, determinazione e divertimento, che se colpita con l’unico paio di scarpe ridurrebbe all’osso la durata delle stesse, quindi calciata per lo più da piedi nudi. Che mondi distanti, eppure che mondi vicini grazie proprio a quella palla, riesco a vivere. Senza cadere nella sciocca e inutile retorica, facile compagna di riflessioni come queste, tutte le volte mi domando cosa si può fare per aiutare entrambi i bimbi, il milanese e…l’intercampista. Non parlo di aiuti materiali, di finanziamenti o altro, ma di aiuto vero, duraturo, che cambi le cose e valga nel tempo, senza voler avere la presunzione di trasformare la realtà. Perchè credo che entrambe le parti siano povere a modo loro, perché sono convinto che anche in questo parallelismo la verità stia nel mezzo e se da un lato i centri sportivi di ultima generazione, l’attrezzatura ultra moderna e professionale e tutta la nostra società dell’abbondanza tolgono “la fame”, raffreddano la passione, la purezza dell’amore per questo sport, riducendo il calcio ad un semplice passatempo, limitandolo ad essere un gioco, o peggio ancora vivendolo solo in virtù dei risultati raggiunti, delle abilità possedute, senza scoprire tutto ciò che può rappresentare nella crescita, nello sviluppo di un bambino, dall’altra parte la pochezza delle stesse cose pur non rappresentando un ostacolo per i nostri bimbi, certo non rendono semplice la pratica dello stesso e troppo spesso lo rendono esclusivamente un mezzo, un’occasione di riscatto, uno strumento per arrivare ad ottenere quegli agi, quei campi, quelle scarpe, facendogli perdere, anche in questo caso, tutto quell’enorme potenziale educativo, limitandolo, portandolo ad essere vissuto e praticato esclusivamente attraverso risultati, attraverso i gol fatti o i dribbling realizzati, attraverso le partite e i tornei vinti. Ma cacchio, il calcio non è questa cosa che vivete bimbi milanesi e bimbi congolesi!!! Inter Campus non basta, c’è bisogno di più. Ma ancora non so bene cosa, quindi…sotto con il campo, con la maglia neroazzurro e con tutto ciò che essa rappresenta in 29 paesi del mondo. 


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