mercoledì 13 giugno 2018

Elisabethville


LUBUMBASHI


“Questa è una baraccopoli, una città baraccopoli”. Mai descrizione calzò più a pennello. Gabriele sentenziò così ieri sera ed effettivamente come dargli torto. Oltretutto mai mi permetterei di dargli torto, visto che è dal 2004 che vive in questa “baraccopoli” e che gira Katanga e dintorni per i suoi vari progetti umanitari con Alba e  con altre associazioni con cui collabora, quindi chi se non lui può permettersi certi giudizi. Ma baraccopoli perchè? Case, casette alte non più di un piano, se escludiamo i nuovi palazzoni inaugurati dal presidente (nessuno sa perchè e per chi, ma…shhh, non va contraddetto), che necessiterebbero di una rinfrescata; strade piene di buche che Roma in confronto non è nulla, con avvallamenti e dossi sparsi qua e la, messi a caso, sembra quasi per tenere svegli e attenti gli automobilisti; polvere e sabbia a lato delle strade e alberi, cespugli, verde di ogni genere poco oltre che sembra non aspettare altro che una distrazione dell’uomo per rifar suo quello spazio strappatogli con la forza da asfalto e cemento; e gente. Gente ovunque, gente che cammina, gente che vende merce ad ogni angolo su banconi di legno improvvisati, gente che si ammassa nei vari taxi collettivi, che assiepano le strade, gente che vivacchia a bordo strada, chi bighellonando, chi cercando espedienti per mettere in tasca qualche franco, o qualche dollaro (meglio). Gente che in questa città arriva a comporre l’ 1,2 milioni di abitanti che si stima oggi abitino l’attuale capitale della regione del Katanga, fondata dai Belgi nel 1910 col nome di Elisabethville, un tempo fiore all’occhiello della colonia: ricca, ricchissima per via delle grandi miniere per lo più di rame della regione (ma per un periodo anche regina della gomma) e centro di importanti avvenimenti che hanno segnato la storia di questo enorme paese, dal tentativo di indipendenza e fondazione del regno autonomo del Katanga, all’ autoproclamazione del padre dell’attuale presidente, avvenuta proprio qui, quando Mobuto fuggì da Kinshasa nel 1997. Insomma un’importante città oggi ridotta un po’ a pezzi, un po’ a brandelli, dalla fame di potere dei politici e da quella di dollari delle grandi multinazionali straniere che qui fanno grandi affari, sfruttando la mano d’opera locale che comprende anche, se non sopratutto, bambini, e corrompendo la società a tutti i livelli, a tutti gli strati, generando così un sistema ultra corrotto che parte dalla strada e arriva al parlamento. E quale posto migliore per noi? Infatti, eccoci qui, dal 2011, insieme ad Alba con il nostro progetto, dentro le scuole da loro costruite, fornendo supporto educativo ai bambini attraverso l’allenamento, in cinque diverse scuole, con 5 diversi gruppi e allenatori. Una goccia nel mare, un piccolissimo spiraglio di luce in un ambiente buio, buissimo, ma...piutost che nigot, l'è mei piutost. Via, allora, andiamo in campo!


Nessun commento:

Posta un commento