mercoledì 14 marzo 2018

Sul Monte Garizim, a casa dei Samaritani

Il cancello è chiuso e il cartello rosso posto al suo fianco indicante l'ingresso nell'area A, vietata ai cittadini israeliani, dovrebbe spingerci a desistere, ma ne' Aiman, il nostro autista di Nablus, ne' tanto meno Buma, sembrano intenzionati a fermarsi davanti a questo blocco mobile, giallo, di ferro. Trascorrono così una decina di minuti fra frenetiche telefonate dei due e qualche sbirciatina oltre "il muro" da parte mia, per capire dove stiamo andando: siamo in cima al monte Garizim, 838 metri sopra Nablus, e stiamo cercando di entrare in un piccolo villaggio dove vive quel che resta dei Samaritani, 381 superstiti per la precisione secondo l'ultimo censimento (2017), discendenti dagli antichi abitanti Semiti stanziati nella Samaria. Questa piccola comunità di Samaritani professa il Samaritanesimo, una religione abramitica strettamente correlata all'Ebraismo; basano le loro credenze sulla loro Torah e affermano che la loro venerazione per il Dio biblico è l'unica e autentica religione professata dagli Israeliti prima del loro esilio a Babilonia, opposta a quell'Ebraismo antico (e contemporaneo) che considerano modificato e alterato dagli Israeliti tornati da Babilonia. Insomma, l'ennesima divisione perpetrata in nome della religione, l'ennesima autoincoronazione a veri e unici custodi della Verità, della Conoscenza. Quando finalmente riusciamo ad entrare un piccolo gruppo di ragazzi ci si fa incontro con fare piuttosto minaccioso: è shabbat e noi siamo in macchina! Eresia. Secondo il loro credo questo giorno è dedicato alla preghiera e tutte le normali attività quotidiane devono essere sospese, compreso il guidare l'auto. Già quando vengo da questa parte di questa martoriata terra sono in perenne tensione, se poi ce le andiamo anche a cercare, cazzo! Fortunatamente il gruppetto è tutto fumo e niente arrosto e riusciamo a passare accompagnati solo da insulti di vario genere e da sguardi non proprio amichevoli, per arrivare al punto dove Buma vuole portarci: un punto da cui si domina la città e si scorge quel che resta di un antico tempio sacro per questa comunità e soprattutto un enorme campo profughi, dove lui vorrebbe farci giocare. Bel casino. Sarebbe bello, sicuramente utile, ma praticamente impossibile. Si parla, Buma ci racconta episodi vari, si osserva la bellezza del panorama, si discute sulle possibilità di realizzazione di un progetto così complesso e alle mie spalle un soldato si muove, per venire verso di noi. Tutto normale, quindi, compresa la nostra "fuga", per evitare problemi col militare. Si ripassa tra gli insulti, gli sguardi non propriamente amichevoli e si torna in Palestina, semplicemente varcando un cancello...che follia, questo posto. Che intricata follia.

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