lunedì 29 maggio 2017

Essere allenatore a Teheran

L’ANGOLO DELL’ALLENATORE IRANIANO
In ogni caso, a prescindere da ciò che credo io sia meglio per i bambini in campo, saper gestire 42 bambini nello stesso tempo, con dieci palloni, è una cosa notevole. Avvantaggiato sicuramente dalla buona educazione di base di tutti i presenti, profughi afghani o iraniani che fossero (si, perché se penso una cosa del genere in Italia, dopo dieci minuti ci scappa il morto), rispettosi dell’adulto e soprattutto desiderosi solo di giocare a calcio, sia Hadi che Housseini sono riusciti entrambi a far divertire tutti i loro mini giocatori, mantenendo anche discrete intensità. Certo, hanno mixato gli obiettivi, hanno buttato qua e la momenti di valcareggiano stretching con bimbi di 9 anni, hanno lasciato per interi minuti bambini fermi, non coinvolti, in attesa del loro turno (in Italia il bambino in attesa dopo 12 secondi avrebbe già sgozzato il compagno davanti e il genitore avrebbe già denunciato il mister per maltrattamenti), ma tutti sorridevano, tutti hanno giocato, tutti alla fine erano felici, quindi, anche se solo in parte, gli obiettivi più importanti sono stati raggiunti. Bravi, veramente bravi. Se ora riuscissimo a portarli dalla nostra parte, condividendo con loro il nostro metodo, le nostre esercitazioni, il nostro allenamento “integrato”, su questi campi del mondo si potrebbero realmente raggiungere risultati (non intesi come partite vinte) importanti per i nostri bambini, che qui sono per lo più figli di profughi afghani e quindi figli dell’ultimo gradino, per lo più nemmeno riconosciuto, della scala sociale. Già perché le famiglie dei nostri bimbi qui quasi non esistono: non avendo documenti e non venendo riconosciuti vivono di espedienti, dei lavori più umili, sottopagati, se non sfruttati, adulti o bambini che siano. Così alcuni dei nostri “mini giocatori” in maglia nerazzurra, dopo l’allenamento vanno ad aiutare la madre a far le pulizie nelle case degli iraniani, oppure vanno per strada a raccogliere l’immondizia, se non addirittura a chiedere l’elemosina. Questo tutti i giorni, a parte quando grazie a Popli, l’associazione con cui collaboriamo, vanno a scuola a studiare, o quelle due volte alla settimana in cui, insieme ad altri bambini vestiti con la stessa maglia, scendono in campo e si allenano, tutti insieme, senza più barriere, differenza. 

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