sabato 21 gennaio 2017

In campo a Chwama


Forse tra tutti i “miei” campi del mondo questo è il più affascinante, il più difficile, il “meno campo”, il più selvaggio, insomma, il più inter campus tra tutti. Certo, non va dimenticato quello di Cateura, in Paraguay, dentro la discarica municipale e sopra i rifiuti urbani; o quello di Garoua, in Camerun, a ridosso del deserto, ma dentro una sorta di oasi; o ancora quello nella salina in Romania, sotto terra, nel freddo indicibile. Insomma, sono tanti i campi “particolari” su cui i nostri bimbi giocano e su cui noi, quindi, diamo forma ai nostri allenamenti, ma quello di Chwama rimane il più…il più. Stop. Se no, gli altri, capiscono...(cit).

 Si trova alla periferia di Lubumbashi e lo si raggiunge dopo un viaggio di circa quaranta minuti, attraverso una strada tutta buche e sabbia, quando non piove, altrimenti tutta buche e acqua, che passa attraverso la savana, quella poca savana che ancora resiste, ai margini della città. Lungo questa strada, ai suoi lati, pressate da alberi di ogni tipo e erba altissima, si incontrano qua e la case in mattoni e capanne in paglia e fango, ai cui fianchi si possono scorgere piccoli orticelli per l’agricoltura di sussistenza di quella gente che ancora vive in campagna, seppur a ridosso della città. Il panorama intorno rimane più o meno immutato fin quando non si supera un piccolo ponte, sopra un altrettanto piccolo corso d’acqua e si oltrepassa un posto di blocco militare, installato non più di cinque anni fa, per bloccare l’avanzata verso la città di Lubumba delle milizie ribelli Mai-Mai, che ogni tanto creano disordini nei dintorni. Posto di blocco...oddio...un militare sgangherato con il suo AK47, con scarpe sbrindellate e la divisa che doveva appartenere a suo fratello maggiore, visto come gli cade sulle spalle, mezzo ubriaco già di prima mattina, che butta un occhio nella macchina e che spera, vista la presenza di tre bazungo (perchè mzungo è uno, ma se sono due, diventa bazungo, ho scoperto) a bordo, di riuscire a raccattare qualche franco. Capiti male, amico mio: se vuoi ti diamo una spilla dell'Inter, ma soldi qui non ne becchi! Abbiamo dei bimbi e degli allenatori che ci aspettano e quando gli nominiamo il campo di Chwama ci libera e ci lascia andare con un sorriso: conosce il campo e conosce il progetto ed è contento di ciò che stiamo combinando da quelle parti, per cui ci ringrazia e ci fa partire. A questo punto il panorama cambia: ora la natura è interrotta solo dalla strada, ma tutto intorno è un susseguirsi di alberi di ogni forma, altezza e dimensione, senza più "case" e uomini ad interromperla qua e la. Tutto verde e marrone intorno a noi, fino a quando, sulla sinistra, ecco apparire il nostro campo, con le sue porte regolamentari, i suoi termitai a segnalarne due angoli (termitai che sono in realtà due montagnette di tre metri!!!) e il suo edificio in mattoni che funge da magazzino, spogliatoio e sala riunioni, con la scritta "mina penda" in neroazzurro (ti amo, in swahili) sul lato lungo. Ma soprattutto con la sua folla di bambini in maglia neroazzurra, che grazie ad Alba Onlus che ha spianato (più o meno spianato...) il terreno e lo ha ripulito da erbe e radici varie, hanno a disposizione un campo dove giocare, non solo a calcio, e degli allenamenti fissi da seguire durante la settimana. Non sarà san siro, ma a me piace da matti questo campo!!!

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