mercoledì 21 settembre 2016

In campo a Tehran

L'accoglienza, l'ospitalità, la gentilezza, la disponibilità di tutte le persone con cui abbiamo a che fare è quasi imbarazzante e giorno dopo giorno, crescendo il rapporto tra noi, aumenta in maniera esponenziale, facendo rimbalzare nella mia testa il solito quesito che sorge in me, quando mi rapporto a gente così gentile: io farei lo stesso? Se loro fossero da me, in Italia, sarei in grado, come loro, di mettermi così completamente a loro disposizione, al loro servizio? Qui in Iran è particolare la loro gentilezza, ma pensando a Chicco in Tunisia, a Francis in Camerun, ai ragazzi di Nagallama e a mille altri posti dipinti di neroazzurro, mi rendo conto che...è contagiosa questa gentilezza, è quasi un marchio di fabbrica Inter campus! Come marchio di fabbrica di Inter Campus è il casino iniziale, la confusione totale e la difficoltà con cui dobbiamo fare i conti aprendo un progetto, per cercare di portare sulla nostra via, sulla nostra strada, allenatori e bimbi. Lo dico sempre e lo penso sinceramente: non credo che il nostro metodo sia la panacea di tutti i mali, non credo che il nostro metodo sia il migliore di tutti e non credo nemmeno, veramente, che quelli incontrati, conosciuti nel corso di questi anni di esperienze siano "sbagiati"; però mi rendo conto che ciò che noi proponiamo in giro, sui campi del mondo, stia dando frutti, stia portando vantaggi a tutti i bambini, però...che difficoltà condividerlo! E non è una questione di lingua. I traduttori (perché il farsi ancora mi manca) sono stati bravissimi questa volta, ma, soprattutto quando si parte da una base come quella di Tehran, gli ostacoli da superare ci appaiono insormontabili. Gruppi da 75 bambini (si, si, 75), seguiti da un mister, capace di proporre diverse esercitazioni, con diversi obiettivi, mantenendo buone intensità e buon coinvolgimento, ma, ovviamente, senza mai riuscire a correggere, a seguire, a creare rapporto con i propri bimbi. E questo è ciò che invece vogliamo noi, è la base del nostro metodo. Quindi...si cambia. O almeno si prova. Si mostrano allenamenti strutturati con gruppi di numero inferiore, esercitazioni legate sempre allo stesso obiettivo, atteggiamento positivo del mister, vicino ai ragazzi e propositivo; quindi si parla con loro, gli allenatori, si discute con loro del nostro modo di lavorare, di come applicarlo, di ciò che può portare di positivo nello sviluppo del bambino, ci si ferma ad osservare direttamente sul campo, nel corso della seduta, ciò che si sta dicendo...ma poi, quando tocca a loro fare allenamento, rieccoci con i mega gruppi. Allora si prende da parte un mister, gli si fa notare ciò che non va, secondo la nostra idea, della seduta, proprio mentre questa si sta svolgendo; si ferma il tutto, si riorganizza il gruppo e si propone una "nostra" esercitazione, stimolando il mister ad osservare, a notare le differenza tra "il prima e il dopo", si parla con loro, si affrontano temi legati all'educazione, alla crescita e...si spera che almeno qualcosa sia rimasto nella loro testa. Almeno i volti sorridenti, la postura aperta, il coinvolgimento totale di tutti. In modo che inizino in questi sei mesi a cambiare, a riorganizzare le cose e passo dopo passo, provare a fargli fare il cambio, aiutandoli da casa (per quanto possibile, viste le difficoltà che hanno con l'accesso a internet) mandandogli esercitazioni, allenamenti, proposte, consigli. Come facciamo in tutto il mondo. E tra sei mesi ci si rivede. Sperando di non vedere più gruppi da 75 bambini...

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