domenica 29 settembre 2013

Uganda, once again II

Martedì 24 settembre

Tra tutti i paesi africani che conosco, e sono purtroppo ancora pochi, l'Uganda è sicuramente quello più ordinato, più organizzato e fino a oggi quello in cui mi son sempre sentito sicuro; fino a oggi, però, perché, cacchio, l'assalto al centro commerciale di Nairobi ad opera degli Shebab(si scrive così?) e la seguente minaccia di attaccare Kampala e gli infedeli ugandesi hanno, stanno, rendendo anche questo splendido angolo di mondo come gli altri: metal detector agli ingressi di ogni luogo affollato, polizia ovunque, controlli serrati, occhi sospettosi che ti scrutano...insomma, stessa maledetta tensione che si vive in Congo, in Angola, in Tunisia, eccetera. Ogni posto con i suoi motivi, con la sua storia, con le sue paure e i suoi nemici da combattere,  ma accomunati tutti dallo stesso clima di ostilità nei confronti di noi occidentali infedeli e quindi punibili con la pena estrema. Cazzo. Ed è stato bruttissimo provare oggi quelle sensazioni anche qui, in questo paese che ho sempre vissuto come al di sopra delle parti, al di fuori delle tensioni che negli ultimi dieci anni stanno sconvolgendo e ahimè caratterizzando il mondo in cui viviamo. Prima di muoverci verso Nagallama, infatti, siamo dovuti passare dalla banca per cambiare euro in scellini Ugandesi e per entrare abbiamo dovuto passare i controlli tipici degli aeroporti dopo l' 11 settembre: metal detector, agenti che hanno perquisito l'auto, polizia armata, insomma tutto quello che speravo di non incontrare mai in Uganda. Invece...per fortuna poi ci siamo trasferiti...fuori dal mondo! Nagallama, infatti, rimane un villaggio, non distante chilometricamente parlando dalla capitale, ma distante anni luce dalla stessa per struttura, ritmi, modi e vita quotidiana, per cui le tensioni della mattina sono sparite non appena rimesso piede all'African Village, dove alloggiamo, e poi al campo della nostra St. Joseph Primary School. Il verde smeraldo dei campi, la terra rossissima, i jackfruit in vendita a bordo strada, insieme a papaie, meloni, kassawa e plantain; gli odori intensi della foresta pluviale che si estende appena oltre la lingua di asfalto che percorriamo, uniti a quello dell'umidità che si alza dalla terra riscaldata dal sole, in seguito alle frequenti piogge di questo periodo; i canti degli uccelli, uniti alle urla dei bambini (mzungo, mzungo è il suono ricorrente al nostro passaggio), attivano i miei sensi e mi allontanano dalle paure della città e da quei pensieri negativi che mi hanno accompagnato fin qui. Ora...sono a casa, sono tranquillo: campo, bambini in neroazzurro, i nostri allenatori e il solito Benjamin che si avvicina, col suo consueto modo di fare. Mi scruta, mi studia, cerca il contatto, illumina il suo volto con un mega sorriso e...via, si ricomincia da dove avevamo terminato. 

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