mercoledì 29 gennaio 2020

Nepal 2020

NEPAL 2020
Mi sveglio di soprassalto, seduto in questo ennesimo scomodissimo e strettissimo sedile, dell’ennesimo piccolissimo e sgangheratissimo aereo, e appena apro gli occhi, non so perché ancora con indosso gli occhiali, scorgo fuori dal finestrino una strana linea all’orazione, che delinea delle sagome rigide, per nulla ondulate, di diverse altezze. La fioca luce dell’alba che illumina questa linea da destra me la fa apparire come un elettrocardiogramma, con qualche picco qua e la, come se il soggetto si fosse spaventato improvvisamente durante l’esame. Ai piedi di questo tracciato un tappeto bianche di qualcosa che appare come fumo, di colore grigiastro. Sbatto gli occhi per cercare di mettere a fuoco il tutto e, grazie anche all’aiuto del sole che lentamente sta prendendosi il suo posto nel cielo, dopo pochi attimi di incertezza riesco a vedere con maggior chiarezza ciò che mi appare: sono montagne, anzi sono LE MONTAGNE, altissime, maestose, imponenti. È la catena dell’ Himalaya quella che mi si mostra in tutto il suo splendore. Ci siamo quasi, quindi, sono ormai arrivato alla meta di questa mia prima missione del 2020: Katmandu. L’aereo fa una leggera virata verso destra e le cime innovate si nascondono, non riesco più a vederlo chiaramente come poco fa, per cui, non avendo distrazioni fuori dal finestrino, nel giro di pochi secondi torno a dormire. Sfrutto il poco tempo che presumo debba mancare all’atterraggio, visto che sono stravolto per via del lungo, lunghissimo viaggio. Crollo quindi nel sonno e riprendo conoscenza solo quando l’aereo tocca, non proprio delicatamente, terra: ormai è giorno, la luce è chiara e illumina bene il mondo la fuori e…cazzo, questa non è Katmandu! Dove diavolo siamo atterrati? Un attimo di smarrimento mi accompagna e, preoccupato, metto a tacere i Linea 77 che stavano pompando nelle mie orecchie per provare a capire qualcosina. Parte l’annuncio proprio in quell’istante e capisco di non essermi sbagliato: a causa delle cattive condizioni meteorologiche il volo è stato dirottato su Lucknow, una “piccola” città indiana dello stato dell’Uttar Pradesh di poco più di 2 milioni di abitanti. E ora? S’a fem? Aspettiamo che ci dicano qualcosa, che altro possiamo fare? E l’attesa, fortunatamente, è breve: rimarremo qui, sulla pista, giusto il tempo di ricevere l’ok da Katmandu per fare dietrofront e fare scalo definitivo alla corretta destinazione, non prima, però, di aver fatto un minimo di “rabbocco” del carburante.  E, ancora una volta fortunatamente, la cosa si risolve in un paio d’ore. Riesco così a raggiungere la meta che sono le 12:05, con “solo” quattro ore di ritardo, pronto per affrontare l’inferno dell’aeroporto di Katmandu: prima le pratiche per il visto, poi il disorganizzassimo passaggio al controllo passaporti e quindi la vera bolgia dantesca, ossia il ritiro bagagli! Una confusione assoluta, gente in ogni dove, valige sparse da tutte le parti, poche a girare sui nastri, polizia sparsa qua e la immobile, ferma ad osservare e tu, carico di speranza, intento a cercare il tuo zaino tra quelli in giro per il salone. Anche qui, però la dea bendata mi viene incontro e la caccia al tesoro dura solo qualche minuto: vicino ad altre valige riesco a riconoscere il mio zaino e così, finalmente, dopo “appena” due ore dall’atterraggio riesco ad uscire, a vedere la luce del sole, pronto per un altro inferno: il traffico di Katmandu! Ma ormai sono arrivato, va bene cosi: son pronto a tutto.


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