sabato 3 novembre 2018

Children of promise

BROOKLYN BUSHWICK
Dai che ci siamo! Lo dicevo proprio ieri, anzi lo scrivevo e l’incontro di oggi mi ha dato ancor più fiducia. Children of promise si chiama l’ONG e lavora in questo quartiere afroamericano di Brooklyn con bambini figli di genitori in carcere. Bambini dai 6 ai 13 anni, esattamente come noi, che a causa dell’incarcerazione della mamma, del papà o di entrambi, vivono sballottati da un parente all’altro, senza guida, riferimento, senza controllo e sostegno, senza…nulla e nessuno. L’ong però cerca di provvedere e da’ loro un luogo dove studiare finita la scuola, dove fare sessioni di arte terapia, dove essere seguiti da psicologi e dove poter videochiamare i propri genitori! Questa è la cosa più forte tra tutte: alcuni di questi bimbetti non vedono, non vedevano, mai la propria mamma o il proprio papà, per via o di una loro carcerazione restrittiva oppure per l’ impossibilità di raggiungerli in prigione e così alcuni hanno passato anche due anni senza mai vedersi, salutarsi, toccarsi, annusarsi (si, annusarsi: sentire l’odore di Anna è una delle cose che più mi riempie al mondo, quindi pensare di non sentirne l’odore per due anni…madonnina!!!), parlarsi. Fortunatamente i social, le nuove tecnologie non fanno danni e in questo caso anzi tornano super utili, aiutando queste persone seppur per breve tempo. Children of promise organizza inoltre altre mille attività bellissime dedicate a questi bimbi, ma, eureka, non propone nessun programma di calcio! E nella chiacchierata di stamane si sono dimostrate interessate e felici di inserire inter campus. Calma però, aspettiamo ad esultare. La mia pragmaticità e concretezza, unite all’esperienza e alla assoluta praticità della ragazza responsabile delle attività dei bambini con cui abbiamo parlato, mi hanno infatti portato a chiedere, in accordo con Paolo, di fare un sondaggio tra i possibili futuri intercampisti, per capire quanti tra i 175 che fanno parte dell’associazione sarebbero disposti a giocare con noi e soprattutto di presentarci entro un paio di settimane almeno un paio di possibili alleducatori, spiegando loro nel dettaglio ciò che cerchiamo. Insomma: ok, forse ci siamo, ma non precipitiamo, facciamo le cose per bene. Buone le sensazioni, buone le premesse, ora vediamo di concretizzare il tutto. Usciamo dalla loro sede piuttosto soddisfatti e accompagnati dall’ormai quasi costante odore di marijuana che da quando son qui si palesa in almeno in un paio di occasioni quotidiane, e a piedi ci incamminiamo verso…verso niente. Camminiamo parlando e discutendo un po’ della situazione, passando per Williamsburg, quartiere ebreo ortodosso di Brooklyn, e Green point, dove Paolo ha vissuto per cinque mesi e culla della moda hipster, un quartiere giovane, molto “trendy”, ma nonostante tutto carinissimo. Oggi è il 31, quindi ovunque ci sono nani mascherati (nani=bambini piccoli) a caccia di dolci, accompagnati da adulti, anch’essi travestiti (il più figo era mr duff man! Uguale) e tutto ciò rende il tutto ancora più caratteristico, più americano. E questa sera saremo a Greenwich village a cena: chissà che cinema, visto che li fanno anche la mega parata con le maschere. Sono pazzi questi americani.


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