giovedì 27 settembre 2018

Cseppko

La prima impressione che ho mettendo piede nel "nostro" orfanotrofio è positiva, se questo è l'aggettivo corretto da utilizzare parlando di un luogo dove vivono centinaia di neonati, bambini, ragazzi, da 0 fino a 18 anni, chi rimasto senza genitori, chi abbandonato, chi ha il padre in carcere e la madre senza lavoro, chi "parcheggiato" qui, alcuni insieme a fratelli e sorelle, perchè i genitori non possono permettersi di mantenerli e vengono a prenderli solo nel week end per passare del tempo insieme, chi...chi e ancora chi. Storie complicate, terribili da ascoltare avendo davanti questi bimbi o queste bimbe e pensando alla nana che mi aspetta a casa e alla sorte differente che è capitata a noi; storie che ogni tanto riescono ad avere anche un lieto fine, con l'adozione e la rinascita in una nuova famiglia, storie che comunque grazie all'intenso e positivo lavoro di "love is the answer", nostro partner in loco, riescono a regalare tranquillità e un po' di serenità ai vari Attila, Marcus, David...Attimo di serenità che ogni settimana, per due giorni, viene loro portato dalla maglia neroazzurra e dall'allenamento realizzato insieme ai nostri mister, Balint e...Balint, che con grande passione, coraggio (si, coraggio, perchè entrare tutti i gironi in questa realtà richiede coraggio. Io non so se sarei capace di dare questa continuità, davvero) e sempre, grandissimi, con un bel sorriso si dedicano ai tre gruppi cui abbiamo dato forma, divisi per fasce d'età, proponendo allenamenti di un'ora, conditi da divertimento, ma soprattutto impegno e partecipazione. Assoluta partecipazione.
A volte anche troppa! Le storie alle loro spalle rendono tutti i nostri bambini/ragazzi piuttosto...delicati, per usare un eufemismo, per cui l'allenatore deve scendere in campo con mille occhi spalancati, attento a tutto ciò che accade sul campo, ad ogni espressione, ad ogni parola che vola, anche se non la si capisce, ad ogni situazione di gioco che potrebbe far scoccare la scintilla e far esplodere l'arsenale di energia e violenza che stiamo provando ad allenare. Quando son stato io a gestire la seduta ho giocato coi più grandi e alla fine dell'allenamento ero più stanco di quando domenica ho chiuso la mezza di Monza! Ho proposto esercitazioni in cui tutti erano sempre coinvolti, in cui la sfida con l'altro era sempre presente, in cui ogni giocatore non doveva solo correre e sfogare la propria energia, ma anche ragionare e collaborare coi compagni per raggiungere l'obiettivo e più di una volta si è sfiorata la rissa. Fortunatamente ho individuato subito i capetti, ho capito subito come riuscire ad entrare in empatia con loro (uno era uguale a Marco Sarno, un mio ex giocatore! MA incredibilmente uguale) e a parte quando Marcus, senza apparente motivo, urlando, si è scagliato contro il pallone e l'ha calciato con violenza lontano, per poi allontanarsi dal campo correndo inseguito dall'educatore, tutta la seduta si è ben sviluppata, con divertimento e partecipazione da parte di tutti. Bello, bellissimo e divertente. Qui, su questi campi del mondo, riscopro ogni volta il potere del calcio e mi riconcilio per un attimo con lui, convincendomi che dobbiamo fare di più con inter campus! Trovare più modalità, attraverso sempre gli allenamenti, attraverso sempre la palla, per aiutare, accompagnare questi ragazzi nel loro difficile cammino. Sto iniziando a capire come, ma...vedremo. Ora però via, si sale in macchina: il villaggio di Szendrolad ci aspetta, con i suoi bimbi rom, le sue famiglie e le sue storie altrettanto "particolari", da scoprire e da affrontare, sempre con la maglia neroazzurra addosso e la palla tra i piedi.

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