sabato 2 settembre 2017

Luanda la doppia

Dobbiamo aver varcato una qualche porta spazio-tempo questa mattina, quando in macchina siamo scesi fin sulla Marginal, abbiamo parcheggiato e abbiamo iniziato a correre: strada pedonale comprensiva di pista ciclabile, palme e praticelli verdi curatissimi, piccoli campi da basket su un lato e mare su quell'altro, edifici risalenti al periodo coloniale ristrutturati, al fianco di grattacieli moderni, altissimi, che nulla hanno da invidiare a quelli di qualsiasi altra capitale del mondo. E soprattutto quattro chilometri quasi di spazio lungo mare ove poter dar fondo a tutta la nostra voglia di correre (oggi era giorno per la dieci chilometri, che se fossimo rimasti a Sao Josè chissà come avremmo potuto completare)! Naaaa, questa non può essere la stessa Luanda dove lavoriamo normalmente, soprattutto non può essere a soli dieci minuti di macchina dalla polvere, dalle discariche fumanti a cielo aperto, dalle baracche in lamiera e le latrine a bordo strada, non può essere così vicina a dove siamo abituati a stare e dove vivono i nostri bimbi e i nostri allenatori. Eppure questi due estremi a stretto, strettissimo contatto sono la realtà e quando si sale alla fortaleza ci si può ancor più render conto di questi due mondi costretti praticamente sullo stesso suolo: salendo sul colle che domina la città, dove sorge il museo delle armi della rivoluzione, e guardando verso la Ilha, la moderna zona ricca, bianca, è infatti spaventoso (si, spaventoso credo sia l'aggettivo corretto) vedere, accorgersi di quanto sia netto il limite tra ricchezza e povertà, tra il mondo dei pochi e quello dei più e di quanto essi siano confinanti. Si distingue infatti nettamente da quassù fin dove sono arrivati i lavori di "abbellimento" della città, fin dove la parte ricca ha letteralmente mangiato, rubato la terra da sotto i piedi alla parte povera: una strada asfaltata nuova, nuovissima, costeggiata dalla spiaggia da un lato e da palazzi e locali moderni dall'altra, termina in un benzinaio, per poi tornare a lasciar spazio alle baracche fatiscenti, ai buchi, alla favela che prima occupava tutto lo spazio che i nostri occhi riescono ad abbracciare. Prima occupavano quello spazio, perché oggi le "case" di quella parte della popolazione che non ha diritto di replica sono state abbattute per far spazio al mondo moderno e ai pochi che possono permettersi di comprar casa in questa città assurdamente cara, costosa, e quelli che erano i suoi abitanti sono stati trasferiti forzatamente fuori, lontano da ciò che era fino a poco tempo prima "casa loro", per essere sistemati in villaggi "fantasma" che ricordano un po' i set cinematografici di cine città. Ricchezza e povertà li sotto, a contatto ancora per poco, perché il progetto in corso prevede l'abbattimento di tutta la favela e l'allontanamento di tutti i suoi abitanti, per completare l'opera iniziata. Anche la zona dove siamo noi subirà nei prossimi anni la stessa sorte: Sambisanga, il "nostro" quartiere, verrà praticamente abbattuto, ripulito e ricostruito con condomini e case con una ampia vista sul mare e sull'enorme porto della città e tutti i suoi abitanti...chissà che fine faranno. Poco cane, come ci si sente impotenti di fronte a tutto questo.

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