giovedì 5 settembre 2024

ESWA che???

 Confesso la mia estrema ignoranza: prima che mi dicessero che sarei dovuto andare alla EFA, eswatini football association, per tenere un corso a circa 60 allenatori locali, non avevo la più pallida idea di dove si trovasse questo Regno. Mi sono quindi un po' documentato pre viaggio e soprattutto ho tempestato di domande il TD (technical director) e l'autista che mi hanno scorrazzato in questi tre giorni in giro per Manzini e Mbabane, le due principali città del Paese, per capirne di più e arrivare a scoprire che eswatini=swaziland! Nel 2019 hanno cambiato la denominazione ufficiale in Regno di Eswatini, Eswatini kingdome, per emanciparsi utleriormente dal passato coloniale, essendo il nome swaziland figlio di una storpiatura nella pronuncia dei britannici. Il popolo infatti è il popolo "swati", che gli inglesi pronunciavano più "swazi" e che quindi ha dato origine s swaziland, la terra degli swazi. E la e davanti??? Anche questo ho chiesto. Nella loro lingua la pronunica di "swati" avviene con un suono iniziale che ricorda la e, appunto, per cui hanno deciso di porre quella lettera, in minuscolo, davanti alla s nella denominazione ufficiale, che infatti e eSwatini. Che rebelot. E pensa nella pratica quanti cambiamenti ha portato questa rivendicazione dal 2019: banalmente la federazione calcio prima era SWA, swaziland football association, ora ESA (cazzata, vero. Però han dovuto cambiare tutti i simboli, loghi, da tutte le parti), i vari ministeri e ministri hanno cambiato denominazione, lo stesso aeroporto ha cambiato nome. Chissà da dove è nata questa esigenza...

Anyway, eswatini, o swaziland che sia, questo paese è stata un'altra piacevole scoperta. Ho avuto anche il culo di capitare esattamente nei giorni dedicati ai festeggiamenti per il compleanno del re, per qui ho potuto assistere a balli e cerimonie tradizionali, con migliaia e migliaia di persone in gonnellina, con la lancia e lo scudo, che ballavano e cantavano, per festeggiare il loro sovrano. Una esperienza unica che mi ha fatto vivere nuove emozioni africane. Ma la cosa più bella penso sia stato l'incontro con le persone: tutti super accoglienti, sorridenti, pronti alla battuta e allo scherzo, mi hanno seguito con grandissima attenzione e interesse in aula e in campo, per poi "tirarmi in mezzo" nelle loro discussioni, coinvolgermi per raccontarmi il loro paese, una volta usciti dal campo. é una cosa questa che scatena sempre in me una serie di riflessioni, la più ricorrente delle quali è: ma se fossi qui senza queste 4 lettere stampate sul petto e questo ruolo di "facilitator", come mi chiamano loro, sarebbe tutto uguale? Già ai tempi dell'Inter mi chiedevo questa cosa e adesso che il carrozzone è ancora più grande e ingombrante, la domanda ricorre più frequentemente nella mia testa. La speranza è che si, anche se venissi con la maglia del VSE otterrei le stesse attenzioni, gli stessi comportamenti, ma il dubbio è legittimo. In ogni caso, forse grazie al marchio che indosso, anche questa volta ho vissuto un'esperienza indimenticabile, e ciò che mi porto a casa è sicuramente più di quanto non abbia lasciato nel regno di eSwatini, o Swaziland per i nostalgici. 

domenica 1 settembre 2024

The mountain kingdome

NON DI SOLO CALCIO VIVE L’UOMO
Per la prima volta nella mia storia in fifa, oggi abbiamo avuto un intero giorno libero, un’intera giornata da dedicare alla scoperta di questo paese. Ed è stato fighissimo. Un po’ perché in questo posto difficilmente tornerò, se non per conto della fifa, quindi questa è stata l’unica occasione per me di vivere l’esperienza da turista in Lesotho, e un po’ perché ciò che mi piace un sacco fare quando sono in giro è cercare di capire (difficile in pochi giorni), conoscere, esplorare il paese che mi ospita, per provare a crearmi un’idea, un’immagine che vada oltre quella che normalmente riesco a strutturare nella mia testa, costruita solo attraverso l’esperienza in campo, in hotel e in qualche ristorante. A volte sfrutto i miei allenamenti, le mie corse, per questo scopo, ma Maseru è una città sita a 1600mt di altezza, tutta fatta di sali-scendi ripidissimi e in più le mie giornate finivano sempre col buio; quindi, mi è stato difficile uscire dalla palestra per i miei allenamenti (ieri 21km sul tappeto…un incubo).
Colgo quindi, cogliamo io e anto, con grande entusiasmo la proposta del presidente di metterci a disposizione un auto e un autista per esplorare il paese. Decidiamo di puntare verso le cascate Maletsunyane, nell’interno, in quelle che qui chiamano le highlands. E puntiamo bene. Non solo per le cascate in sé, che a dirla tutta in questo periodo dell’anno sono certamente meno affascinanti di quanto non si veda nelle foto on line (siamo in inverno, tutto e secco e arido, c’è ancora della neve qua e la, o dei cumuli di ghiaccio, quindi anche la cascata ha poca acqua. Per quanto comunque affascinante, manca qualcosa), ma anche per il lungo viaggio (quasi 180 minuti!) che ci conduce attraverso le montagne al nostro obiettivo. Lungo questa strada il paesaggio è affascinante: alte montagne “violente”, aspre, secche e valli, canyon rocciosi con sparse, qua e la, sui pendii, piccole capanne di fango e paglia, di forma circolare, in numero ridotto (villaggi di 10, 15 capanne, ogni volta)…in the middle of nowhere!
Difficile pensare, immaginare, la vita di queste persone in questa realtà, in queste condizioni. Pastori, agricoltori, si muovono a piedi o a bordo di asini e conducono il loro bestiame al pascolo con il loro tipico cappottone (una specie di tappetone, pesante e colorato, che indossano sempre, estate e inverno. Nel primo caso senza nulla sotto, nel secondo con calze coloratissime e ogni possibile indumento posseduto), il cappello tradizionale (una mini piramide di paglia intrecciata finemente, che non fa passare il vento, gelido e pungente in questo periodo…le mie labbra ne sanno qualcosa) e l’immancabile bastone, simbolo della loro mascolinità (le donne non possono usarlo). That’s it. Le loro giornate trascorrono così. Lente, quasi ferme, governate dal sorgere e calare del sole, scandite dal lento movimento dei loro animali sulle colline, sulle montagne…in un momento come questo in cui penso sempre più spesso a come il tempo ci sia sottratto ogni giorno da quel lager chiamato lavoro cui siamo tutti costretti, vedere questo “vivere completamente il tempo” (seppur in un modo magari un po’ noioso) ha scatenato in me mille riflessioni. Ma questa è un’altra storia.
E i bambini? Quando ci fermiamo saltano fuori dalle capanne, ci osservano di nascosto, i più coraggiosi si avvicinano, ma parlano solo sosetho, quindi non riusciamo a capirci. E i bambini, dicevamo. Loro come vivono questa realtà? Abbiamo incontrato delle scuole lungo la via (scuole…capannone rettangolari, non tonde, col tetto in lamiera, mono o al massimo con due stanze, due “classi”. Non riesco a immaginarmi le lezioni) e ne abbiamo visto qualcuno in divisa (pur essendo sabato, vestono la divisa, ci spiega l’autista, perché devono andare a qualche funzione, quindi devono indossare il loro abito migliore), quindi sicuramente le mattine le vivono a scuola e ne abbiamo visti altri giocare a calcio con palle fatte di paglia arrotolata, oppure al seguito dei fratelli più grandi col bestiame, quindi…anche per loro il mondo è questo. Con l’alternativa della scuola. Difficile da immaginare, se penso alla realtà in cui sono immerse Anna e Maggie. Ma il mondo, come mi piace dire, è più grande della mia piccola realtà e anche oggi ne ho avuto una dimostrazione.
Montagne, villaggi, bambini, scorrono fuori dal finestrino o sotto i nostri occhi grazie alle pause, fino all’arrivo alle cascate. Qui un piccolo trekking ci porta dalla parte opposta del canyon dove l’acqua del fiume “casca”. 200 metri di caduta in mezzo a questo canyon selvaggio, aspro, rocciosissimo. Che bellezza. Che esseri piccoli che siamo di fronte a tutto questo…così piccoli, eppure così arroganti da pensare di essere noi il risultato finale del percorso di evoluzione delle ultime migliaia, degli ultimi milioni di anni. Noi, i sapiens, sapiens, siamo al di sopra di tutto questo, dominiamo e governiamo tutto questo. E lo distruggiamo…
Nel viaggio di ritorno una piccola lezione di storia ci accompagna, grazie al nostro autista, che ci racconta la storia del paese da quando il primo re, sorothoshese the first ha unificato le 16 tribù in un unico popolo, i basotho,  prima di fermarci a Roma (un villaggio fondato dai missionari evangelizzatori italiani e oggi città, sede dell’unica università del paese) per mangiare in uno di quei posti ove cerco, cerchiamo, sempre di fermarci quando siamo nel continente nero. Una baracca a bordo strada che cucina sotto i tuoi occhi (a volte sarebbe meglio chiuderli gli occhi…) e che per portarti da bere va ad acquistare l’acqua alla baracca vicina. Non possiamo esimerci dal mangiare la “paya”, il piatto tipico (ciò che in angola è chiamato fu-fu, in uganda matoke…sempre la stessa cosa, ma con nome diverso) con del pollo sicuramente ruspante e aggiungere anche questa esperienza super positiva al nostro bagaglio.
Wow. Quante cose ho messo in valigia, oggi. Bellissimo assaggio del paese. Difficile tornare da queste parti, ma se dovesse accadere saprò già qualcosa in più